Recensione: The Great Herald of Misery
Quarta uscita in studio per gli Heptaedium, moniker dietro al quale si cela il master mind Florent Lambert, polistrumentista nonché unico vero membro ufficiale del progetto. Dopo appena un anno dal precedente album, la creatura di Lambert ritorna con un nuovo EP intitolato The Great Herald of Misery. Il musicista francese tuttavia non è completamente solo: ad affiancarlo in questo lavoro troviamo Mickael Ratinaud, al quale sono affidate tutte le parti vocali.
Se l’artista parigino mostra spesso una vena ironica e scherzosa nelle presentazioni e nel suo modo di porsi durante le interviste, lo stesso non si può dire della sua musica. L’universo sonoro degli Heptaedium vuole essere un pugno in faccia senza compromessi, una discesa in un tunnel oscuro senza nessuna luce ad attenderci alla fine, e bisogna dire che riesce piuttosto bene nel suo intento. Il primo nome che viene in mente ascoltando The Great Herald of Misery è sicuramente quello dei Meshuggah. I maestri svedesi sono diventati un punto di riferimento per un’intera generazione di band, che, a posteriori, ha visto in loro i precursori di quella che oggi consideriamo la corrente del djent, ma in questo caso sarebbe un po’ troppo sbrigativo liquidare la proposta musicale degli Heptaedium con questa etichetta. Intendiamoci, i pezzi di Lambert sono tutti molto focalizzati su quel particolare sound, e non c’è spazio per divagazioni o incursioni in altri generi, ma l’album si distanzia dalla proposta dei gruppi più recenti per riprendere sonorità leggermente più tradizionali. Dal djent così come lo intendiamo di solito viene tolta gran parte della componente metalcore o, per essere più precisi, del metalcore nella sua forma più orecchiabile (e se vogliamo anche più commerciale). Quello che resta è una musica ruvida, violenta e aggressiva, un suono gelido perché così vuole essere. Melodia e voci pulite trovano ben poco spazio, mentre l’album è portato avanti da riff martellanti e ritmiche sincopate. Si trovano qui e là anche alcuni momenti di tregua, ma sono costituiti da intermezzi ambient affidati a tastiere e sintetizzatori che, con i loro tappeti sonori, contribuiscono a rimarcare l’atmosfera fredda e meccanica dell’intero lavoro. Anche se a un primo ascolto possono sembrare un elemento marginale, le incursioni dei sintetizzatori si rivelano essere invece un vero valore aggiunto, fornendo una profondità maggiore alle sensazioni create dai brani. Lo si percepisce soprattutto nei pezzi strumentali, come l’opener “Now”, che dopo pochi secondi parte con un muro di suono dall’impatto drammatico per poi ritornare alle atmosfere rarefatte delle tastiere. “Trapped in a Gravitational Abyss”, è un altro brano dalle caratteristiche simili al primo, ma con una sezione di ambient più lunga che sembra essere la proverbiale quiete prima della tempesta, un momento di calma che precede la sfuriata finale costituita dalla titletrack. Nonostante la breve durata, “Till the Seventh Snake Eat Their Empy Shell” è uno dei pezzi migliori, ricco di riff violenti, tra i quali si inseriscono perfettamente le parti di sintetizzatore, assieme a un abbondante uso dell’effetto glitch. “I’m a Symmetric Mass of Hate” è un altro dei brani più meritevoli e, oltre a mostrare alcuni dei riff più riusciti del disco, trova anche lo spazio per intermezzi ambient e sezioni drammatiche.
Nel complesso si può parlare di The Great Herald of Misery come di un lavoro di tutto rispetto, con brani sempre validi che riusciranno certamente a farsi apprezzare da chi ama il genere in questione. Come già detto il peso dell’influenza dei Meshuggah si fa sentire e non poco: lo si avverte nelle ritmiche e nella voce, in particolare in un pezzo come “Watch Me Break the Neck of the Hypocrites”. Questo comunque non rende la musica degli Heptaedium una mera imitazione di un’altra band, e d’altra parte ci sono anche diversi elementi che si distinguono in maniera positiva. Florent Lambert dimostra di saper colpire come si deve ai timpani degli ascoltatori e di aver le idee ben chiare sul sound che sta cercando. Tutto questo rende il nuovo EP un buon disco, che saprà ripagare chi ama addentrarsi in questo particolare universo sonoro.