Recensione: The Great Shadow Infiltrator
«Cast your assumptions aside… shut the fuck up & head bang!»
Bastano queste poche parole per intuire, con molta facilità, che i Faithxtractor non siano fautori di un progetto destinato ai palati più fini, fra quelli che sorseggiano il metal estremo. Del resto, nel 2006 Ash & Marquis Thomas hanno fondato la band «con l’unico intento di suonare death metal selvaggio sì da triturare la carne della razza umana» (sic!). Tuttavia, dopo essersi concentrati su quest’unico obiettivo realizzando un demo (“Demo #1 2006”, 2006), uno split con i Crucified Mortals (“Impious Trilogy/Project Trauma”, 2008) e il debut-album “Razing The World Of Myth” (2008), si sono resi conto che si poteva (e si doveva) fare qualcosa di più rispetto alla mera macellazione. Così, dopo cinque anni di silenzio – perlomeno discografico – è arrivato il nuovo lavoro: “The Great Shadow Infiltrator”.
Fra il dire e il fare, si sa, oltre al mare ci può essere una distanza incolmabile; soprattutto quando si tratta di modificare un’attitudine ben radicata. Circostanza, questa, che pare essere calzante per l’infernale duo di Cincinnati, inamovibile dalla riproposizione continua di un sound il quale, senza tanti giri di parole, altro non è che dell’ordinario old school death metal. In esso, difatti, l’assenza di propaggini evoluzionistiche è tale da far davvero pensare che la capacità di progredire non sia una merce così comune, fra i praticanti del genere. Allineare il proprio modo di pensare a concetti espressi venti e più anni fa, se da un lato produce degli effetti benefici in termini di memorabilia, dall’altro irrigidisce forse irrimediabilmente l’elasticità delle cellule neuroniche. Non si spiegherebbe altrimenti, sennò, l’evidente difficoltà dei Nostri nel diversificare sufficientemente i brani del disco, inchiodati sulla medesima tipologia realizzativa, su un modus operandi che regala assai poco; demolendo via via la speranza di trovarsi davanti a qualcosa di diverso da un flavour trito e ritrito, immutabile quanto poco accattivante.
A onore del vero, nondimeno, occorre rilevare che in effetti il combo dell’Ohio ci ha provato, a far qualcosa di diverso. Basta ascoltare le prime parti di “In All Forms Reptilian” e “The Great Shadow Infiltrator” o l’intera “Third And Final”, per esempio, per rendersene conto. Purtroppo per loro, almeno a parere di chi scrive, si tratta di una blanda e poco convinta discesa nei paludosi territori del doom. In fondo, sia dal punto di vista storico sia da quello musicale un filo conduttore fra i due generi c’è; per cui è tipologicamente coerente che i due statunitensi cerchino di differenziare la loro proposta intraprendendo una strada simile a quella già percorsa. Il problema, invero, insiste nel fatto che il ‘nuovo’ camminamento non porta a nulla di… nuovo rispetto al ‘vecchio’. Così, il platter non pare mai scostarsi da un déjà vu opprimente, foriero di antipatiche e tediose sensazioni sia durante l’ascolto delle semi-movimentate sezioni death, sia in occasioni dei tenebrosi rallentamenti doom.
Per il resto la coppia se la cava piuttosto bene: sa suonare, sa realizzare un sound professionale, chiaramente non originale per quanto più su scritto, sa bene quali siano le caratteristiche peculiari da soddisfare per dar luogo a un prodotto adulto e completo in ogni sua parte (equilibrio fra i suoni, fermezza nel mantenere inalterato lo stile di base, omogeneità fra le strutture compositive, ecc.). Quel che manca è il classico ‘qualcosa in più’ a livello di scrittura dei brani, troppo piatti e privi di mordente per invogliare l’ascoltatore a reiterare i passaggi del CD sotto il laser.
Impossibile, alla fine, considerare “The Great Shadow Infiltrator” un’opera in grado di superare la sufficienza: i Faithxtractor sono degli onesti e rispettabili mestieranti e nulla più.
Daniele “dani66” D’Adamo
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