Recensione: The Grimalkin

Di Riccardo Angelini - 9 Luglio 2006 - 0:00
The Grimalkin
Band: Noekk
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2006
Nazione:
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83

Tre canzoni, quaranta minuti di musica, niente singoli cantabili o ritornelli ruffiani: non è certo questo il biglietto da visita ideale per ingraziarsi le simpatie del pubblico. L’immagine che si scorge tra i vetri oscuri nascosti dalle selci nella cover monocromatica è piuttosto quella di una band che cerca di essere diversa, impervia, elitaria. E così è.
Dietro ai Noekk si celano Funghus Baldakin e F.F. Yuggoth, al secolo Ulf Theodor Schwadorf (alias Markus Stock) e Thomas Helm, volti noti del panorama teutonico per i recenti trascorsi negli Empyrium. Celebrato il funerale della band che col suo folk caliginoso e decadente ha portato lustro ai nomi dei due oscuri cantori, un nuovo progetto ha subito preso vita dalle ceneri del glorioso passato. Così nel 2005 l’anima degli Empyrium si reincarnava in The Water Sprite, memore delle proprie origini ma altresì aperta e protesa verso nuovi orizzonti. Oggi, a un solo anno di distanza, il ritorno.

Molto è cambiato. Rispetto agli Empyrium, certamente, ma a ben vedere anche rispetto al primo capitolo del nuovo corso discografico. Eppure è quasi impossibile non accorgersi che la mano artefice di A Wintersunset o Weiland è la stessa che sta dietro a The Grimalkin. Se The Water Sprite era il succulento antipasto, The Grimalkin è la pietanza di alta cucina che strappa un applauso per lo chef. Sparisce la forma canzone, invero mai del tutto definita quando si tratta di Schwadorf e Helm, la composizione si appesantisce, disarticolata in uno spettro indefinito di eredità – King Crimson, Black Sabbath, Emerson Lake & Palmer, Opeth, Van Der Graaf Generator, Candlemass, gli stessi Empyrium – sapientemente orchestrate, quasi fossero nate apposta per essere riunite in questo luogo.
Attorno a un calderone di imprevedibile genialità kingcrimsoniana volteggiano ombre impalpabili, sfuggenti, incessantemente mutevoli. Le gravi atmosfere del doom si mescolano a sinfonie di tenebra rarefatta, screziate da repentine scorribande folk. Intanto un sottile fiato psichedelico percorre gli androni di una maestosa architettura gotica che riecheggia i tuoni di una voce limpida, profonda, autorevole, drammatica. Sporadiche interruzioni acustiche spezzano i ritmi di una sfrenata danza sabbatica, in cui nature armoniche contrapposte si intrecciano fino a confondersi le une nelle altre.
A che pro descrivere uno a uno i mille volti di The Grimalkin – tre tracce, sì, ma in verità una sola grande composizione, in cui ogni istante si fonde naturalmente col successivo, così da tessere una trama di infiniti riflessi, legati l’uno all’altro da un tocco naturale, spontaneo – il tocco del maestro.

Ma i Noekk non vogliono insegnare come debba essere composto o come debba essere suonato il progressive rock. I Noekk mostrano soltanto come il progressive rock vada pensato. Eclettismo, audacia, e quell’ineffabile scintilla d’ingengo che in un attimo rinnega tutto il passato per riplasmarlo in nuove forme.
E mentre un sussurro ammirato accompagna l’esecuzione, poco alla volta una domanda silenziosa, un sibilo penetrante si fa largo tra le note: a quanti potrà addirsi un’opera di tal genere?

Non è interrogativo che interessi ai Noekk, e non ci sentiamo di dar loro torto. The Grimalkin merita tutto il tempo di cui necessita per rivelare i propri segreti, ma non ogni orecchio è fatto per conoscerli. Dunque avvicinatevi con circospezione, e siate pronti ad addentrarvi in una paesaggio di nebbie e lampi, dove basta un attimo per smarrirsi, dove una mano spettrale è sempre pronta a riprendervi per guidarvi. O per ghermirvi.

Tracklist:
1. The Albatross (11:00)
2. The Grimalkin (10:09)
3. Codex Deserta (20:23)

 

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