Recensione: The Hall of Olden Dreams

Di Marcello Labombarda - 28 Agosto 2009 - 0:00
The Hall of The Olden Dreams
Band: Dark Moor
Etichetta:
Genere:
Anno: 2000
Nazione:
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75

Gli iberici Dark Moor in questi ultimi anni si sono superati di disco in disco apportando importanti e riuscite evoluzioni al loro sound. La loro tecnica si è implementata riuscendo a sfoderare un power metal degno di questa definizione, grazie anche ad una line up che si è dinamicamente rinnovata nel tempo, arricchendosi del talento di musicisti sempre nuovi e ogni volta molto capaci e determinanti nel trasformare questo progetto in una delle metal-band spagnole più conosciute e apprezzate in Europa.

Un viaggio nel passato, per scoprire le radici di questo gruppo e gustarne la cavalcata evolutiva in ambito stilistico, approderebbe di certo ad uno dei loro migliori realase di quei tempi: The Hall of Olden Dreams, un concept sicuramente interessante e che cavalcava l’onda dell’esplosione sinfonica che in quel periodo (anno 2000) iniziava con prepotenza a farsi strada nel mondo della musica caucasica. Il gruppo, capitanato dall’onnipresente Enrik Garcìa, era al suo secondo album con la Arise Records e la struttura compositiva seguiva la matrice classica del metal sinfonico di allora. Le canzoni sono un tripudio di tastiere e chitarre che fraseggiano vicendevolmente con perizia incalzante, riuscendo ad avvolgerci con le loro architetture ritmiche e veloci. Clavicembali e suoni di estrazione barocca zampillano da ogni canzone; archi e tappeti melodici, sostenuti da una immancabile doppiacassa,  fanno da potente background neoclassico a virtuosi soli (di chiara reminescenza “Turilliana”) creando melodie di notevole impatto epic, che ci accompagnano in intro, midtro e outro trascinanti e dal retrogusto decisamente cinematografico. Non a caso più si susseguono le tracks e più la mente va ai nostrani Rhapsody (senza l’“of fire” di nome e di fatto) che in quello stesso periodo sfornavano Symphony of Enchanted Land e Dawn of Victory. In questo caso i fan del gruppo triestino, quelli più affezionati al vecchio sound, non disgusterebbero di certo ascoltare questo disco che ne ripropone tutti i cliché.

Come nella migliore tradizione power The Hall of Olden Dreams ci travolge con ritornelli potenti, eseguiti da appaganti cori, echeggianti e robusti, vigorosi nella melodia e di sicura assimilazione: semplici, ma troppo scontati, e nel loro intento donano l’atmosfera desiderata. Insomma nel compartimento strumentale e creativo i Dark Moor di quei tempi dimostrano di essere buoni professionisti, ma già dai primi ascolti il timpano vibra perplesso alle prime note intonate da Elisa C. Martín, attuale singer dei Dreamaker: indubbiamente questa ragazza esperta del genere (già in adolescenza militava in band power) ha una buona estensione vocale, ma le sue sfumature canore sono decisamente androgine, tanto che è difficile inizialmente intendere se a vibrare dietro al microfono è un’ugola femminile o maschile. Spesso i suoi acuti sono tecnicamente pregevoli, ma “ingentiliti” da tonalità quasi infantili che fanno scolorire l’efficacia power del backround, che in questa esplosione neoclassica pretenderebbe una voce più calda e stentorea. Ma questa macchia che fa inarcare il sopracciglio si trasforma poi in una peculiarità distintiva di ogni brano e quindi dell’intero cd. Col tempo l’orecchio si abitua e la voce infine non si amalgama male al contesto complessivo.

In conclusione, anche se ripropone una scelta melodica un po’stereotipata, soprattutto se ascoltata ora, si tratta di un cd di rispetto e una tappa ben riuscita e importante nella carriera di questo gruppo, che non deve mancare negli scaffali dei fan più accaniti della band: un pezzo di storia dei Dark Moor!

Marcello Labombarda

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Tracklist:
1. The Ceremony 
2. Somewhere In Dreams 
3. Maid of Orleans
4. Bells of Notre Dame 
5. Silver Lake
6. Mortal Sin
7. The Sound of the Blade 
8. Beyond the Fire
9. Quest For the Eternal Fame 
10. Hand In Hand

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