Recensione: The Hallowed
Per l’imminente “The Hallowed”, undicesimo album per gli alfieri del metallo d’oltreoceano Jag Panzer e arrivato a sei anni di distanza da “The Deviant Chord” (ve ne avevo parlato qui), i nostri amati americani tornano ad affidarsi alla via del concept. “The Hallowed”, infatti, si basa sull’omonimo fumetto post apocalittico pubblicato dal gruppo l’anno scorso, che vede un quintetto di ardimentosi muoversi per un mondo ghiacciato in cerca di una nuova casa insieme ai propri compagni animali, attraverso i cui occhi viene narrata la vicenda; il tutto viene ottimamente rappresentato dalla copertina di Dusan Markovic (che aveva messo la firma anche su “The Deviant Chord”). Per quanto riguarda la musica, invece, nessuna novità: se i Jag Panzer sanno fare bene qualcosa, è certamente confezionare dell’ottimo heavy metal, di quello ruggente e di classe e con la giusta dose di epica sfacciataggine. Inutile dire che anche stavolta i nostri centrano il bersaglio: il nuovo entrato Ken Rodarte, entrato stabilmente in formazione dopo la pesante partenza di Tafolla, riempie bene il vuoto lasciato dal predecessore dimostrando la necessaria attitudine. Il gruppo sa come scaldare i cuori e si sente: “The Hallowed” è un lavoro che conquista da subito per la sua resa sbruffona e diretta, ma resta impresso per l’elegante solidità ed il carisma indiscutibile. Durante i cinquantatré minuti che lo compongono – forse non pochissimi, ma alla fine ci si passa sopra senza grandi problemi – i Jag Panzer spaziano attraverso varie sfumature del metallo più classico e confezionano dieci inni che, nonostante le ovvie limitazioni atmosferiche dovute al concept, esibiscono muscoli, attitudine e passione a manciate. Ciò è reso possibile da una formazione in palla, che conosce benissimo il suo mestiere e si concentra sul modo migliore per raggiungere l’obiettivo prefissato: fomentare gli animi con una sezione ritmica pulsante e sborona, che detta i tempi in modo preciso e cafoncello, su cui si innestano chitarre muscolari e cromate capaci di colorarsi di enfasi trionfale e, a sovrastare il tutto, un Harry Conklin che alla voce si dimostra il solito califfo, indifferente al passare del tempo che affligge il resto del genere umano.
Dalla partenza propositiva e sfacciata della smargiassa “Bound as One” fino alla lenta e sulfurea solennità della conclusiva “Last Rites”, i Jag Panzer non si risparmiano, esibendosi nella loro personale sfilata sonora. I nostri preferiscono i tempi medi e rocciosi per dare spazio al racconto musicale con una serie di inni d’acciaio cromato, ma pur senza distanziarsi troppo da queste velocità non esitano a donare verve e personalità ad ogni pezzo. Largo quindi al dinamismo bellicoso di “Prey”, all’incombenza scandita e cafona di “Ties that Bind” che si carica a tratti di un lirismo quasi sinfonico, o al fare vorticoso ed abrasivo ma punteggiato di trionfalismo di “Stronger than You Know” o “Dark Descent”. Non mancano i rallentamenti più incisivi di “Onward we Toil” o “Edge of a Knife”, marce scandite che si caricano di improvvise fiammate eroiche, di “Weather the Storm” e del suo mix di ritmi cadenzati e fare sornione, e di “Renewed Flame”, traccia classicamente heavy punteggiata da sporadici e vaghi rimandi NWOBHM.
Qualora abbiate bisogno di un’ulteriore conferma, “The Hallowed” è l’ennesima cecchinata dei Jag Panzer. Forse manca la classica traccia killer che svetti sulle altre – anche se “Stronger…” e un paio di altre sono delle ottime candidate – ma la qualità complessiva di “The Hallowed” si mantiene così alta che non ci si bada. Altrimenti detto: una sanissima colata di metallo fiero e ruggente, e l’ennesima conferma delle indiscutibili qualità del combo statunitense.
“The Hallowed” esce nei negozi dopodomani ed è un album da avere, punto.