Recensione: The Harmony Codex

Di Roberto Gelmi - 5 Ottobre 2023 - 12:00
The Harmony Codex
Etichetta: Virgin Music
Genere: Progressive 
Anno: 2023
Nazione:
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85

Quella che non manca a Steven Wilson è l’imprevedibilità. Dopo due album solisti dai toni pseudo-pop come To the bone e The future bites, The Harmony Codex ripropone l’artista inglese su livelli di vero eclettismo e vicino a quell’art rock che l’ha reso grande. Basta ascoltare una volta i sette minuti di “Inclination” per capire di cosa stiamo parlando. Pianoforte, sequencer e musica elettronica accostati in modo intelligente creano atmosfere oniriche dalla psichedelia assicurata. Quello della ricerca lisergica è una costante dell’album, pervade infatti anche la breve ballad “What Life Brings”, dai rimandi floydiani (ma niente di che se paragonata a quanto fatto in passato dai Porcupine Tree). Difficile invece classificare la seguente “Economies of Scale”, non ci sono chitarre, i ritmi elettronici sono lo scheletro su cui s’innestano falsetti ambiziosi. Il primo highlight dell’album è comunque in arrivo.

Impossible Tightrope” farà la gioia di tutti i fan del lato progressive di Wilson. Parliamo di un tourbillon di emozioni e atmosfere che si susseguono senza soluzione di continuità. Un primo lungo crescendo culmina in un assolo di sax dal virtuosismo puro; segue un soundscape con voce di gabbiani e poi la ripresa del main theme sorretto da un basso pulsante che ricorda certi Yes ma anche la follia dei King Crimson e vengono in mente pure sonorità della scena di Canterbury. Non possiamo che restare attoniti di fronte a tanta creatività e padronanza del mezzo musicale: Steven Wilson è un funambolo che percorre la corda sottilissima tra bestia e superuomo e riesce a mantenere il precario equilibrio richiesto nell’impresa. Ritroviamo protagonista la voce di Ninet Tayeb in “Rock Bottom”, sempre potente e graffiante, ma il pezzo non raggiunge il livello di un singolo come “Pariah”; peccato, un’occasione persa per questa collaborazione vocale.

Seguono due composizioni agli antipodi. L’oscura “Beautiful Scarecrow” contiene il lato luciferino del sound targato Steven Wilson e nella sua seconda parte raggiunge livelli di delirio (mentale) non indifferente. La title-track “The Harmony Codex” (pezzo più lungo in scaletta con la durata che si aggira attorno ai 10 minuti) è il secondo capolavoro del disco. Difficile trovare delle sbavature al suo interno. I ritmi dilatati, la voce narrante, i paesaggi sonori… tutto concorre a creare un’esperienza estetica di assoluto pregio. Si ha quasi l’impressione di vedere la musica che passa attraverso le nostre orecchie prendere forma come in una trasmutazione alchemica. Wilson è l’architetto di questo miracolo di condivisione emotiva e cerebrale, poco importa sia più ambient che progressive, alt rock o metal: durante l’ascolto il tempo si ferma e viviamo in uno stato di grazia. Nel finale d’album troviamo altri momenti interessanti. La coda di “Time Is Running Out” con rimandi al grande Mike Oldfield; le ruvidità sonore di “Actual Brutal Facts” rievocano i tempi di In absentia. “Staircase” è un altro centro, basti l’assolo di basso al quinto minuto per farsi un’idea della follia compositiva riversata negli ultimi nove minuti del platter.

 

The Harmony Codex è un signor album e rilancia la figura di Steven Wilson che sembrava essersi in parte involuta per quanto riguarda la sua carriera solista e in fatto di sperimentazione. In realtà con il ritorno in scena dei Porcupine Tree c’era di che ben sperare. La creatività del mastermind inglese sembra vivere una nuova fase tutta da scoprire. Non vediamo l’ora di continuare a seguire il suo percorso artistico.

 

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