Recensione: The Healing
E’ sempre sbagliato accusare un gruppo di essersi corrotto, commercializzato o svenduto allo scopo di ottenere un contratto più
importante con una casa di maggior rilievo della scena, questo in quanto non si può leggere nella mente delle persone e quindi nemmeno
sapere se coloro che hanno composto i pezzi all’interno di un album lo abbiano fatto con in mente solo il creare buona musica o
piuttosto pensando a cosa sarebbe piaciuto alla gente, cosa avrebbe venduto. Il fatto tuttavia è che quando ci si trova davanti a
platter del genere i dubbi vengono ed anche in maniera così forte che non è possibile tenerseli dentro.
I primi tre pezzi di The Healing partono all’insegna dell’espediente commercialoide: si inizia con Barbarossa, canzone
compatta e potente nei suoi primi secondi, ma che poi si perde in un ritornello scontatissimo nel suo tentativo di essere epico e
solenne ed in alcune uscite vocali sinceramente evitabili. Nella seconda Viva Bastardo l’ascoltatore del bel paese finalmente può
rendersi conto di come solitamente si sente un madrelingua inglese quando si ritrova ad ascoltare gruppi stranieri che cantano nella sua
lingua: in un ibrido tra spagnolo, italiano ed idiomi non meglio identificati i nostri si lanciano alla conquista dei mercati latini, ma
falliscono di gran lunga il bersaglio proprio per l’indecenza del testo che presenta perle come “Give a fuck about the polizia” e altre
che non sto a citarvi, come non spendo parole per la pacchianissima linea melodica del coro centrale che appunto canta “Viva, viva
bastardo…”. Proseguendo nella loro caduta libera per quanto riguarda la decenza gli Artas infilano la terza hit di giornata piazzando
al numero 3 della loro tracklist Gangsta’s Paradise, cover di, tenetevi forte, Coolio: rapper apparso anche nella compilation Hot
Party (quella con Barbie Girl degli Aqua per intenderci). Certo, la canzone che viene qua ripresa ha ben altro spessore rispetto a Ohh
La La, soprattutto a livello di messaggio del testo, ma l’esperimento va davvero troppo oltre, sia per l’accostamento di generi improbo
sia per come viene fuori la versione death metal del pezzo: un tripudio di tremolo picking e blastbeat che non sarebbe bello da sentire
nemmeno se veicolasse contenuti altri rispetto a quelli esposti.
I nostri non si fermano certo alle prime tre tracce con gli esperimenti strani, ma fortuna vuole che le seguenti Fick Das Fett e
Rhagenfels siano cantate in tedesco e quindi il sottoscritto non si possa lamentare a livello di lyrics. Si può dunque dire che il vero
e proprio disco cominci con la title track The Healing, posta in quarta posizione, e mostri buone qualità a livello musicale, qualità
che non permettono agli Artas di emergere al di sopra del mare di proposte attuali, ma che fanno sì che il disco si risollevi ampiamente
dopo quanto espresso in apertura. Oltre alla furia ed alla pesantezza del loro sound, che viene fuori in tracce come la thrash oriented
From Dirt We’ll Rise, i nostri mettono in mostra anche canzoni più riflessive, come Through Dark Gates che presenta influenze quasi
grunge.
Gli Artas si dimostrano dunque buoni musicisti, ma dovrebbero capire che l’etichetta modern metal che si autoimpongono non può
diventare una scusa per mettere in musica tutto ciò che passa dalla propria testa e che le sperimentazioni sonore devono necessariamente
essere legate ad una logica di coerenza complessiva. Fatto questo potranno comporre il loro capolavoro.
Tracklist
1. Barbossa
2. Bastardo
3. Gansta’s Paradise
4. The Healing
5. Fick Das Fett
6. Rhagenfels
7. Through Dark Gates
8. Blut
9. The Butcher’s Guilt
10. Kontrol
11. From Dirt We´ll Rise
12. I Am Your Judgement Day
13. A Song Of Ice And Fire