Recensione: The Heart Of Matter
Triosphere è quel luogo invisibile che giace nel cuore, nella mente o nell’anima, quel luogo in cui possiamo ritrovare noi stessi e prendere il controllo di forza e creatività.
Un concetto ripreso nella bella copertina disegnata da Katell Anne Vivier, in cui appare una testa stilizzata nell’atto di cantare (o urlare?), circondata da una sfera, mentre lo sfondo – allontandosi dal centro – digrada da luce notturna ad oscurità. Alberi minacciosi, corvi premonitori e venature di sangue si materializzano.
La sfera nella nostra mente per ritrovare noi stessi nell’oscurità immanente.
I Triosphere interpretano la dicotomia oscurità/luce disegnando linee melodiche estese e ben definite, contrapponendole a riff pesanti che si avvicinano a quelli degli americani Nevermore, senza però mai ferire allo stesso modo, o a quelli dei Children of Bodom, senza tuttavia creare sinfonie metal. Le melodie vengono enfatizzate dalla voce della cantante Ida Haukland che spazia tra fasi aggressive con un cantato rabbioso, a momenti in cui le linee vocali pulite, quasi sempre alte, danno forma alle strofe dei ritornelli.
Sono trascorsi quattro anni da “The road less travelled”, un lasso di tempo non proprio breve, però necessario ai norvegesi Triosphere per elaborare il loro ultimo ambizioso lavoro intitolato “The Heart of Matter”, nel cuore della materia. Materia che si sostanzia in una forma musicale rielaborata in un mix di heavy metal roccioso e power metal melodico, con richiami talvolta, nelle parti strumentali, a musica rock più progressiva.
Con la prima traccia intitolata “My Fotress” iniziamo a inerpicarci nella musica del quartetto norvegese (Ida suona anche il basso), arpeggio di chitarra e batteria in lontananza, poi l’onda d’urto dei riff di chitarra. A seguire batteria senza pietà, ed è qui che si inserisce Ida, dapprima rabbiosa, quasi un timbro maschile, per poi farsi strada diventando assoluta protagonista del pezzo in un ritornello ben riuscito e suggestivo. Voce pulita, sempre alta senza mai eccedere in acuti.
Ancora riff e batteria, assolo veloci, precisi e davvero ben riusciti. Ecco quindi, una delle cose da rimarcare, la bravura dei chitarristi Marius Silver Bergensen e Tor Ole Byberg, in grado di proporre soluzioni virtuose e originali. La batteria di Orjan Aare Jorgensen è potente e precisa e riesce a ben integrarsi nella struttura dei pezzi anche grazie ad un’ ottima produzione.
La seconda traccia è “Steal away the Light”; i Triosphere spingono sull’acceleratore a regalarci un’altra melodia riuscita: Ida si muove su di un ritornello ad alta velocità e rabbia. Le chitarre si inseriscono in un assolo come preludio al finale in cui irrompe ancora l’armonia del ritornello.
“The Sentinel” segue le orme del pezzo che l’ha preceduta in quanto a velocità, stavolta però la struttura è impreziosita da riff di chitarra in un mood arabesco ed assolo che, combinati ad una melodia trascinante, rivelano un pezzo ben riuscito che rimanda ai Kamelot più aggressivi.
La quarta traccia “Breathless” “senza respiro”, alterna passaggi meditati a passaggi più veloci. La voce di Ida diventa più dolce per poi tracciare una melodia scandita come al solito da punti esclamativi formalizzati in note alte. Lo strumentale qui viene anticipato da note di basso, poi le chitarre eseguono qualcosa d’inaspettato, sembrando rimandare al rock progressivo (quasi si sentisse da lontano l’eco dei Pink Floyd) per poi velocizzare e lasciare il gran finale ad un tappeto di cori femminili a fare da eco al cantato che ritorna al tema principale. Merita decisamente di essere riascoltata.
Il singolo prescelto per presentarci la nuova fatica dei Triosphere è “The heart’s dominion” che si differenzia dal resto per un coro epico in apertura (ripreso poi nel pezzo), cui risponde in maniera irosa la voce di Ida. Funziona tutto, coro, riffing, melodie.
Altra traccia peculiare dell’album è l’ultima della tracklist, un lento, “Virgin Ground” in cui le melodie malinconiche e delicate si appoggiano su violini, tastiere e chitarre. Un finale necessario dopo l’imperversare di ritmiche sempre sostenute e vocalizzi in tono alto.
I restanti episodi sono comunque di buona qualità: tra queste citeremmo “As I call” e “Storyteller”, entrambe caratterizzate da melodie di grande presa.
Ad un primo ascolto della musica dei Triosphere, l’impressione è che ci sia qualcosa di sbagliato: quelle strofe con melodie colorate da una voce femminile sembrano contrastare con le parti strumentali dure, quasi fossero due corpi estranei. Solo dopo ripetuti ascolti è possibile apprezzare la proposta musicale del combo norvegese che riesce quasi sempre a trovare un equilibrio tra gli opposti ed a creare musica di buon livello.
I difetti, attenuati dalla bravura degli strumentisti, risiedono in una certa ripetitività del cantato, troppi punti esclamativi nei ritornelli ed un utilizzo della voce un po’ troppo piatto, pochi virtuosismi o acuti a variare il tema; le mancanze però vengono compensate dall’intensità vocale di Ida che trasmette energia in ogni singola nota.
“The Heart of Matter” contiene pezzi diretti senza però perdere in complessità e qualità. Molti i brani quindi da ascoltare e riascoltare a tutto volume, per perdersi e ritrovarsi nel metal dei Triosphere: una musica carica di energia ed intensità, grazie a melodie quasi sempre riuscite ed a ritmiche potenti.