Recensione: The Hellish Joyride

Di Manuel Gregorin - 5 Novembre 2023 - 15:02
The Hellish Joyride
Band: The Unity
Etichetta: SPV/ Steamhammer
Genere: Power 
Anno: 2023
Nazione:
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69

Con i Gamma Ray fermi in garage fino a non si sa quando, il chitarrista Henjo Richter ed il batterista Michael Ehré, devono essersi ritrovati con un sacco di tempo libero. Bisognava inventarsi qualcosa per impegnare le giornate, ma soprattutto restare nel giro, almeno per il periodo determinato dagli impegni di Hansen con gli Helloween.
Reclutati così Stefan Ellerhorst (chitarra) e Sascha Onnen (tastiere), ecco che nel 2016 prendono forma i The Unity. Alla voce infine troviamo Jan Manenti, cantante bresciano che grazie a questa collaborazione ha l’opportunità di farsi conoscere nel circuito dei nomi che contano. Dal 2022 inoltre, entra nei ranghi dei The Unity anche Tobias Exxel, bassista degli Edguy, conferendo alla compagine teutonica sempre più l’immagine di super band.

Una carriera molto prolifica quella del gruppo tedesco, autore sin qui di tre album in studio, “The Unity” (2017), “Rise” (2018), “Pride” (2020), più il live “The Devil You Know – Live” (2021). Non sono inoltre mancati tour assieme a Sinner, Edguy, Axel Rudi Pell o Rhapsody Of Fire. E nemmeno i palchi prestigiosi come il Masters Of Rock, Knockout Festival, Metal-Fest o Bang Your Head. A ciò va ad aggiungersi l’ultimo tour con i Primal Fear, iniziato proprio in concomitanza con l’uscita del nuovo album The Hellish Joyride.

Edito dalla SPV/Steelhammer, anche quest’ultimo lavoro è stato mixato e masterizzato da Achim Köhle (Avantasia, Hammerfall, Helloween) ed è corredato da una bella copertina ad opera di Felipe Machado. Il genere si muove a cavallo tra power ed heavy/hard rock di scuola germanica di cui Richter, Ehré ed il nuovo arrivato Exxel, sono tra i maggiori rappresentanti con le band originarie

L’intro One World inizia con una trentina di secondi di chitarra acustica e voce per sbocciare poi in una marcia trionfale che richiama alla mente Invitation, storica apertura di Keeper pt 2. Di seguito la prima vera canzone: Masterpiece è un power metal veloce e potente su cui gli Unity fanno da subito rombare i motori. Di seguito la title track, un heavy classico che mescola bene gli Edguy con certe cose degli Helloween dell’era Deris. Only The Good Die Young guarda ancora agli Edguy più recenti trovando soluzioni abbastanza riuscite.

Con Saints And Sinners i nostri tornano a schiacciare l’acceleratore del power metal rompicollo dove si scorgono echi della più famosa Eagle Fly Free.
Nonostante non abbia una voce acuta come Kiske, Jan Manenti si dimostra comunque all’altezza della situazione. Non pare per niente in difficoltà neanche nei brani dove ci si aspetterebbe una maggior estensione vocale. Al contrario, si dimostra sempre a suo agio riuscendo ad offrire una prova molto credibile e personale.
Spiazza un po’ la seguente Something Good, dove ci si sposta su di un rock leggero che esce dai tipici canoni del metal, occhieggiando ad una proposta più mainstream.

Always Two Ways To Play è un pezzo scanzonato, accompagnato da un video in cui si vede la band venire letteralmente asfaltata da delle atletiche ragazze in una partita a pallavolo. Un clip divertente sulla scia di Hearts On Fire degli Hammerfall, nella versione per le olimpiadi 2006.
Gli Unity riprendono con l’heavy dai sapori hard rock di matrice Edguy sia con Golden Sun, che con Stay The Fool. In quest’ ultima in particolare si strizza l’occhio agli Europe.
Le influenze di casa Gamma Ray vengono a galla con l’energica Never Surrender.
Infine You‘re Not Forced To Stay, una ballad riconducibile ad un certo rock moderno, se vogliamo anche un po’ ruffiano, che sembra capitata nel disco quasi per sbaglio.

The Hellish Joyride è certamente un lavoro ben prodotto e suonato egregiamente. Un album con tutti gli elementi al loro posto ed una buona prova dei musicisti coinvolti. Alla fine però, nonostante i buoni presupposti, non riesce ad essere particolarmente incisivo. Nessuno pretende che un super gruppo realizzi sempre dei super album. Le canzoni poi, prese singolarmente, sono più o meno abbastanza valide, ma nell’insieme non riescono a creare quella miscela esplosiva che ci si aspetterebbe da artisti di questa portata.

Sostanzialmente abbiamo a che fare con una produzione che si rivela sì, divertente e piacevole da ascoltare, ma alla fine, non offre niente di memorabile.
Possiamo paragonare The Hellish Joyride ad un’automobile di una marca prestigiosa, con un motore ben rodato, cerchi in lega e tagliando appena fatto. Solo che una volta messa in moto, ci si accorge di essere in riserva.
E adesso tocca andare in cerca di un distributore.

 

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