Recensione: The Heretics

Di Marco Donè - 13 Febbraio 2019 - 0:01
The Heretics
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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75

A distanza di tre anni dall’acclamato “Rituals”, disco che ha contribuito ad aumentare il seguito e la considerazione dei Rotting Christ, proiettandoli verso i piani alti della scena metal internazionale, la band dei fratelli Tolis torna a battere un nuovo e possente colpo, proseguendo il percorso evolutivo messo in atto da “Theogonia” in poi, cercando di bissare il successo raggiunto con il lavoro del 2016. Questo nuovo capitolo risponde al titolo di “The Heretics”, tredicesimo full length della compagine greca, che rappresenta un passaggio fondamentale nella trentennale carriera dei Rotting Christ. Il successo, il clamore, la qualità toccata da “Rituals” non ammette un passo falso, ponendo il quartetto di Atene nella scomoda posizione di non dover sbagliare, caricandoli di pressione, come se, dopo trent’anni di storia, costellata di album senza punti deboli e dalla marcata personalità, i Nostri si trovassero ad affrontare un ennesimo esame di maturità.
In passato il mastermind Sakis Tolis si è già trovato in questa scomoda posizione e non ha mai fallito. Riuscirà a centrare il bersaglio anche in questa occasione? Scopriamolo assieme.

 

Cosa aspettarsi dai Rotting Christ? Beh, semplicemente la realizzazione di quanto dichiarato da Sakis Tolis nella presentazione di “The Heretics”. Il chitarrista-cantante ci ha abituati a trasporre in musica quanto espresso a parole. Lo ha fatto in passato, lo ha fatto con “Rituals”, è lecito immaginare, e pretendere – verrebbe da dire – che faccia altrettanto con questa nuova fatica. “The Heretics” è stato quindi annunciato come un ulteriore step in quel sentiero fatto di oscurità e magia ritualistica, di atmosfere ossessive e melodie capaci di creare nell’ascoltatore un contatto profondo con il proprio io interiore, espandendo così la propria ricettività verso le energie che lo circondano, stimolandolo e guidandolo verso la conoscenza.
The Heretics” è la perfetta rappresentazione di quanto fin qui scritto. Un disco che richiede ripetuti ascolti e un preciso mood (che dovrà essere trovato dall’ascoltatore/iniziato n.d.r.) per poter essere compreso e vissuto, tanto che se non affrontato nel modo corretto, potrebbe non convincere. Un lavoro articolato e complesso, non tanto nella struttura, quanto a livello concettuale. “The Heretics” poggia sul tema delle eresie, siano esse intese come forma di “ribellione” religiosa, che poetica, e per la sua creazione i Rotting Christ hanno deciso di puntare su un approccio più atmosferico-evocativo, poggiando su strutture semplici e ripetitive, inserendo nelle linee vocali dei cori di gregoriana memoria che donano un’aura solenne alle composizioni, come accade in ‘Hallowed be Thy Name’ o ‘Dies Irae’. In quest’ultima traccia, poi, incontriamo un’altra caratteristica propria di “The Heretics”, ovvero la scelta di alcune soluzioni che riportano alla mente dischi del passato dei quattro greci. Nel caso specifico ci troviamo a rivivere una ritmica di ancestrale memoria propria di “Rituals”, alternata ai cori citati in precedenza. Ma non ci saranno solo elementi che ci ricondurranno al disco del 2016. Durante l’ascolto, in una sorta di viaggio mistico, ritroveremo così soluzioni proposte in “Aelo”, come in ‘I Believe’, dove la melodia di chitarra, un coro in greco antico e l’aggressiva parte di batteria a mani pari portata avanti da Themis Tolis saranno il sottofondo dell’oscuro sermone interpretato da Sakis. In ‘Fire God and Fear’ incontreremo melodie che ci riporteranno alla mente soluzioni presenti in “Theogonia”, fino ad arrivare a rivivere l’atmosfera gotica presente nel seminale “A Dead Poem” in ‘The Voice of the Universe’, con la presenza al microfono di Ashmedi dei Melechesh.

 

Da quanto fin qui scritto, le malelingue potrebbero dire che i Nostri, visti i continui impegni live che hanno affrontato in questi ultimi anni, stanno vivendo un calo artistico-compositivo e giocano la facile carta del ripescare elementi che hanno funzionato in passato, soddisfacendo con il mino sforzo i propri fan. Se volessimo pensare male, potrebbe essere così, ma se ci accostassimo al disco senza preconcetti e con il giusto mood, come citato poco sopra, ci accorgeremo che non è assolutamente questa la chiave di lettura con cui i Rotting Christ hanno affrontato il nuovo “The Heretics”. Il disco, attraverso il passato, rappresenta una sorta di collante tra i Rotting Christ che abbiamo fin qui conosciuto e la loro probabile proiezione futura, che la stessa band definisce con il termine di atmospheric dark metal, che potrebbe trovare il proprio definitivo compimento nel prossimo capitolo discografico.
Una volta assimilato il disco, inoltre, la qualità di “The Heretics” si attesterà su livelli elevati, confermando l’ottimo stato di forma che sembra non avere mai abbandonato la compagine dei fratelli Tolis.

 

I Rotting Christ, con “The Heretics”, sembrano quindi proseguire dritti per la propria strada, fregandosene dei cliché di questo o quel genere, puntando solo a esprimere in musica la propria concezione artistica e filosofica, senza paura di osare, di rischiare, cercando di superare il limite raggiunto in precedenza. Se ci soffermiamo ad analizzare la discografia del quartetto greco non possiamo che confermare quanto appena detto, riconoscendo nei Rotting Christ una compagine che, pur conservando un riconoscibilissimo marchio di fabbrica, si è sempre rivelata in continuo mutamento. “The Heretics” è così un altro tassello, un ulteriore scalino verso questa continua ascesa. Un album diverso ma, allo stesso tempo, classicamente Rotting Christ. Non rimane che inserire il disco nello stereo, spegnere la luce, chiudere gli occhi e iniziare il viaggio verso la conoscenza.

 

Marco Donè

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