Recensione: The Horror And The Metal
Nel 1963, nelle sale cinematografiche, esce ‘I tre volti della paura’, film del terrore composto da tre episodi diretto dal regista Mario Bava.
Qualche anno più tardi un “innocuo” quartetto di Birmingham notava che alla gente piaceva parecchio spaventarsi con questi film e capì che far impaurire con la propria musica poteva essere una nuova strada da percorrere.
Ed è così che cambiarono il loro nome, ispirandosi proprio a ‘I tre volti della paura’, titolo in inglese ‘Black Sabbath’.
È l’inizio di una storia che va avanti da circa 55 anni: il sodalizio tra Heavy Metal e cinema horror è, da allora, sempre stato molto forte, con un sacco di band che hanno tratto inspirazione dai temi di questi film misteriosi, spettrali ed angoscianti, che siano thriller o splatter, che trattino di mostri, alieni, zombie o di pazzi assassini, ecc… ecc.
La lista è praticamente infinita … c’è chi si è lasciato coinvolgere totalmente, come i nostri Death SS o Alice Cooper, King Diamond, Rob Zombie e Cradle of Filth, tanto che alcuni sono diventati anche attori, registi o sceneggiatori, mentre per altri l’horror è stato solo un argomento saltuario, come per gli Iron Maiden, Slayer e Metallica.
Tra coloro che ci si dedicano anima e corpo troviamo gli svedesi FKÜ, in giro dal lontano 1987 e con all’attivo 5 Full-Length, di cui l’ultimo, ‘The Horror and the Metal’ sarà disponibile dal 9 febbraio 2024 via Despotz Records.
Ormai veterani, con radici ben piantate nel Thrash Metal Old School statunitense, sono veri appassionati dei film horror degli anni ’80, tipo gli Slasher, usciti a dozzine, del maniaco omicida emarginato e disadattato, umano o entità soprannaturale che sia, che stermina brutalmente gruppi di adolescenti (i vari ‘Halloween’, ‘Venerdì 13’, ‘Nightmare’ con i loro seguiti), o che sono talmente esagerati da rendere comiche delle situazioni orrende (come la serie di ‘Evil dead’), oppure drammatici nel mettere a nudo la parte malvagia delle persone, come ‘The Shining’, talmente particolare nel rappresentare la pazzia da diventare un capolavoro.
Riassumendo, il loro prodotto è un Thrash Metal con liriche Horror.
Per quanto riguarda quest’ultime, devo confessare che non ho letto i testi delle canzoni, però, dai loro titoli, posso dire che le ispirazioni provengono da roba tipo ‘La Maledizione di Damien’ (sequel de ‘Il presagio’, grazie al quale Steve Harris ha scritto ‘The Number of the Beast’), ‘Piranha II – The Spawning’, ‘Non aprite quella porta’, il già citato ‘Shining’, fino ad un film cinese del 2015 dal titolo ‘Bringing Back the Dead’.
Per cui un ventaglio lirico che abbraccia un bel po’ dei temi horror, dall’Anticristo ai feroci animali mutanti, dall’assassino implacabile alla follia improvvisa fino al risveglio dei morti.
Per quanto riguarda il Thrash Metal, è di chiaro vecchio stampo statunitense: solido, ruvido, spedito e potente ma anche melodico e non super-estremo, formato da ritmiche aggressive, voci prepotenti e cori coinvolgenti, essenziale (non c’è neanche un assolo, ad esempio) e senza sofismi, come sperimentazioni od intrusioni in altri territori. Un “battere e percuotere” onesto e sincero.
Per questo trovo che il binomio Thrash/Horror sia slegato, difatti il sound non mette né ansia né timore; non fa nascere inquietudine e non ti tiene sulle spine. Semmai genera rabbia e furore e dà uno bello scossone in tal senso … da manuale insomma.
Penso, però, che sia una cosa voluta: la band non è di primo pelo ed ha abbastanza esperienza per fare quello che vuole, per cui ha semplicemente messo su disco quello che gli piace: i film horror nelle liriche ed il Thrash Metal nella musica.
Di fatto, i pezzi sono tutti efficaci, con quelli più esagerati (‘(He Is) The Antichrist’, ‘Don’t Have to Go to Texas’ e ‘Bringing Back the Dead’) interposti sapientemente agli altri per dare la giusta alternanza alla scaletta.
Non ci sono ballads, intermezzi strani od altre cose: solo Thrash potente, diretto e cattivo dal primo secondo del disco all’ultimo, influenze tipo Slayer, Metallica, Testament. Non ci sono brani che sovrastano gli altri, tutti hanno, grosso modo, lo stesso valore e lo stesso impatto sonico, nel disco c’è però sufficiente varietà per evitare piattezza. Dovendo scegliere i brani migliori del lotto ‘The Horror and the Metal’ e ‘The Harvester of Horror’.
Buona tecnica, bella voce, produzione non troppo spinta che dà una buona idea del valore dei FKÜ: c’è abbastanza di tutto … anche un po’ di nostalgia, a dirla tutta, ma quando si richiamano gli anni ’80 così prepotentemente può succedere anche quello, mentre, come si può capire, mancano le novità.
Va bene così, la qualità è sufficientemente alta per non far finire ‘The Horror And The Metal’ in mezzo ai tanti. Assolutamente da ascoltare.