Recensione: The Human Condition

Di Stefano Risso - 9 Giugno 2007 - 0:00
The Human Condition
Band: Man Must Die
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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65

A tre anni dal debutto segnato con …Start Killing gli scozzesi
Man Must Die
ritornano in grande stile su Relapse Records con questo
The Human Condition, sempre all’insegna del death tecnico e
feroce.

A un’analisi generale, The Human Condition è un lavoro che
racchiude diversi aspetti del death metal più violento e variegato, grazie a un
riffing molto articolato e tagliente, che ha l’effetto di rendere -al primo
ascolto- le composizioni presenti delle vere e proprie bombe a orologeria pronte
a esplodere in tutta la loro forza. Canzoni articolate in cui però i Man Must
Die
non mancano di inserirvi buone dosi di groove e passaggi più melodici,
insieme a leggere influenze thrash slayeriane (ascoltate Silent Observer
ad esempio) ipervitaminizzate, modernizzate e pompate da una produzione grezza
ma al passo coi tempi. Nulla da dire neanche sulla prestazione dei singoli
membri, precisa e senza sbavature, in perfetta media con il livello tecnico che
una band dedita a questo tipo di musica deve necessariamente disporre.

Purtroppo per i Man Must Die c’è un “ma” dopo tutti questi dovuti
elogi. Infatti gli aspetti meno brillanti del full-length in questione affiorano
a un esame più approfondito della tracklist, in cui si registra una certa
piattezza di fondo, che si accentua con il procedere dei minuti. In tutto il
caos sprigionato dai nostri scozzesi il rischio è di perdersi (e quindi
annoiarsi) anzitempo, travolti da continue variazioni che non permettono di
poter delineare un vero filo conduttore dei brani. Il che non sarebbe neanche
una cosa necessariamente negativa, ma i Man Must Die difettano
leggermente di personalità, presentando soluzioni che troppo spesso rimandano
alle band ispiratrici. Sulla carta, canzoni come March of the Clones o
1000 Promises of Pain
centrano perfettamente il bersaglio, cosa che non
possiamo dire per tutta la durata di The Human Condition.

Un disco che contiene un po’ di tutto, ma che alla fine non riesce ad arrivare a
una sintesi concreta, come se fosse una pregevole costruzione dalle fondamenta
perennemente scricchiolanti. Uno stile eccessivamente confusionario (nel senso
buono) non assecondato dalle attuali capacità della band, che velocizza e rende
più intricato tutto quello che suona dimenticandosi a volte del contesto in cui
si opera, come ad esempio nella sesta Cardboard Gangster in cui un
richiamo al limite del plagio a un passaggio dell’immortale Dead Embryonic
Cells
dei Sepultura, non ha neanche un quarto della carica grezza e
“sempliciotta” della versione originale.

Stefano Risso

Tracklist:

  1. Intro
  2. Silent Observer
  3. March of the Clones
  4. Waster
  5. 1000 Promises of Pain
  6. Cardboard Gangster
  7. Past The Point
  8. You Stand Alone
  9. Elitist
  10. Organized Insanity
  11. Suicide Gene

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