Recensione: The Human Contradiction
Se la Finlandia è la terra delle tastiere metal per antonomasia e la Germania quella della doppia cassa power, l’Olanda è di certo il paradiso delle voci femminili votate alla causa del metallo. Con Epica, ReVamp, Stream of Passion, (primi) The Gathering e Within Temptation, anche i Delain fanno parte di questo novero sui generis.
La band del già tastierista dei Within Temptation, Martijn Westerholt, arriva al quarto album in studio, dopo la “commercialata” di “Interlude” del 2013. Il sound resta coerente con quanto proposto già dal disco di debutto “Lucidity”: tecnica centellinata, arrangiamenti atmosferici (e a tratti oscuri) di tastiera e testi non privi di qualche ricercatezza. In questo caso, per le liriche, la sempre bella e brava Charlotte Wessels ha tratto ispirazione anche da un confronto con il dipartimento di gender studies dell’università di Utrecht. Il risultato è (nonostante o grazie a questo incontro?) un album che cavalca l’onda delle attuali band pseudo-gothic metal, con chitarre droppate e voce eterea femminile, che interpreta testi tutt’altro che solari.
A quanto detto si aggiunge il solito folto gruppo di ospiti che non mancano mai in un album dei Delain.
Il disco si apre con un opener dalle sonorità fatate su ritmiche rocciose: un po’ Tarja, un po’ Epica, con un bello stacco poco prima del min. 4:00. I testi sono mordaci, per un brano smagato che è programmatico dell’intero platter: «Murder of crows across the sky / The moon announces that / it will soon be night / Fog closes in / And all I see / All empty eyes / Through silent screams». Come lascia intendere anche l’eterocromia nella mesta copertina, si parla dell’Uomo come essere sempre incompleto e fragile.
“Your Body Is a Battleground” presenta un’ottima strofa iniziale con controcanti corali, armonie e oscuri arrangiamenti sinfonici. I testi rasentano il ridicolo, non fosse per il fatto che la traccia affronta il tema spinoso della tossicodipendenza (e assuefazione a farmaci), con anche Hietala nel refrain, ospite di casa nei Delain.
Potenziale hit la seguente “Stardust”, con tema facile facile di pianoforte nel refrain. Nostalgia di un mondo che fu («Heaven cried as we left the earth to die / Homesick for a memory / In silent sleep / Eternally»), come in un brano degli Stratovarius più panteisti. Echi di Within Temptation e l’ennesimo e immancabile breve assolo di chitarra. Pezzo dalla forma canzone canonica, ma che si lascia riascoltare. Sconsigliato, invece, il terribile video, tra improbabili falene e asteroidi.
Brano più corto in scaletta, “My Masquerade” ha un ritornello magnetico ma fin troppo esile. Parole e note sul lato scherzoso e ingannevole di un amore incipiente («Take of your mask / And you will see / The freak in you / The freak in me / Tonight we hide / From judging eyes / We’ll dance until the sunrise»).
“Tell Me, Mechanist” riporta l’album su buoni livelli. Attacco atmosferico e cattivo e liriche più che attuali e che riflettono circa i “danni” compiuti dal buon Cartesio e la sua visione meccanicistica della natura («Clockworks of time define us / Who you are, who you are […] / But the mechanist inclined / Merely our kind can suffer […] / Tell me why, have the writings on the wall / Nor the dawn of DNA, / Changed a single thing at all?»). Il growl di George Oosthoek (già ospite in “Lucidity” e attivo anche con Within Temptation e Ayreon) nell’ultima parte del brano francamente è pleonastico.
“Sing to me” convince come la precedente “Stardust”, con arrangiamenti degni degli ultimi Nightwish (ottimo il finale); Hietala d’altra parte dona un tocco di ricercatezza alla proposta musicale degli olandesi. I testi elegiaci in bocca alla suadente Charlotte Wessels creano una dissociazione testi-musica notevole («You close your tearstained eyes / To your silver lined madness / After twenty-nine years»). Canzone che non sfigura se accostata a un classico della band come “Electricity”.
“Army of Dolls” ha un refrain ammiccante che stigmatizza l’ideale femminino irreale della società capitalista («Army of dolls stole your reflection / Army of dolls stole all your perfect imperfections»). Inserti dance e d’elettronica, linee di basso appena più valorizzate e una spietata critica all’apparenza in nome di una sana rivendicazione di concreta realtà («Do you want me, do you want me / To burst your bubble now?»).
“Lullaby” è una ninnananna sostenuta, con sonorità da glassarmonica e testi che aspirano a un naufragio leopardiano intriso di autolesionismo.
Chiude il paltter “The Tragedy of the Commons” («We are one, and one is all / Through self-destruction we fall»), brano ispirato alla teoria economica dell’ecologo Garrett James Hardin. Le strofe suonano affilate nella loro tagliente ironia, quasi un cupo brindisi d’annunciata autodistruzione («To another commotion / To another disruption / To another explosion / I raise my glass»). Ancora sonorità pompose à la Nightwish e anche i grunts di Alissa White-Gluz (The Agonist, Arch Enemy).
Buone le bonus track: toccante “Scarlet” con tappeto di pianoforte e tinte da colonna sonora; “Don’t let go”, invece, avrebbe fatto faville nel recente pessimo disco solista di Anette Olzon.
Nella limited edition dell’album figurano anche alcuni canzoni live e le versioni orchestrali (campionate) di “Sing to Me” e “Your Body Is a Battleground”, ben riarrangiate e godibili.
In conclusione “The Human Contradiction” non deluderà i fan di band come Amaranthe, Edenbrdige, Xandria et similia: musica accessibile a un vasto pubblico, ma che non manca di trattare argomenti tra il filosofico e il mero emozionale. Promossi!
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