Recensione: The Hunter And The Prey
Dopo quattro anni tornano sul mercato discografico i tedeschi Dying Georgeus Lies, facendoci prepotentemente piombare nel loro mondo post-apocalittico alla ‘Mad Max’.
In questo lasso di tempo la partecipazione a festival importanti quali il Metal Days in Slovenia e l’Head Meeting di Bucharest oltre il suonare in giro, compresi paesi come l’America ed il Canada, con nomi importanti quali U.D.O., Testament, Overkill, Sepultura, Kreator, Within Temptation e Powerwolf, si sono dimostrate esperienze fondamentali per crescere, comprendere le proprie potenzialità artistiche e capire quale strada percorrere.
Così dimostra ‘The Hunter and the Pray’, il loro terzo album, distribuito via Massacre Records e disponibile dal 22 marzo 2019. Il nuovo lavoro prosegue la storia narrata nel precedente ‘First World Breakdown’: nel 2079 il mondo come lo conosciamo non esiste più, devastato dalla guerra nucleare. Pochi sono gli ambienti dove è possibile sopravvivere, in quanto il ‘fall out’ ha reso inabitabile la maggior parte del pianeta e quel che resta dell’umanità girovaga cercandone uno. In questo mondo i Dying Beautiful Lies sono i consiglieri di John, leader del Clan Wasteland, personaggio che si conosce guardando il teaser dell’album.
Inversamente proporzionale alla loro visione di un mondo in regressione è l’evoluzione artistica del quintetto che, pur rimanendo legato ad una matrice Thrash feroce e pesante e ad una propensione per le sezioni anthemiche di facile memorizzazione, ha inserito nel proprio songwriting atmosfere più melodiche e complesse, sostituendo una delle due chitarre con le tastiere suonate dalla musicista Jay`na D, amplificando la sensazione di desolazione e disperazione che permea la vita dei sopravissuti.
La colonna portante è sempre Lisa ‘Liz Gorgeous’ Minet che, con la sua voce, di scuola Sabina Classen degli Holy Moses, graffiante, aggressiva, a volte brutale, interpreta ogni brano con densa emotività e personalità, esibendo un buon miglioramento tecnico ed artistico rispetto al lavoro precedente.
Altrettanto valido è il lavoro alla chitarra, sofisticato quanto incisivo, riesce bene sia quando la ritmica è serrata sia quando è melodicamente più aperta ma soprattutto durante gli assoli che, carichi di enfasi, interrompono tecnicamente il cantato ma non la trama della storia.
La sezione ritmica è solida quanto greve e, in più di un’occasione, esce dal suo ruolo di accompagnamento per dire la sua.
Il ruolo delle tastiere è quello di ‘riempire’ emotivamente le tracce, legando assieme gli altri strumenti ed esaltando le capacità canore di Lisa, evitando pomposità o riduzioni della potenza dei suoni che rimangono, come già detto, di chiaro stampo Thrash.
Un ampio passo in avanti quello degli Dying Georgeus Lies, ben evidente già da subito con l’intro orchestrale ‘From the Ashes’, cupo elemento di transizione che serve per entrare nel loro mondo catastrofico, collegato direttamente con ‘Hellfire’, un pezzo veloce, deciso, carico di grinta e di rabbia ma anche di melodia.
‘We Are the Apocalypse’, legata alla vecchia scuola è velocissima e potente mentre ‘Revolution Day’ e ‘…and as the Bomb Fall’ sono strutturalmente più complesse: la prima, veloce e pestata, colpisce con un’improvvisa sezione di pianoforte che accompagna strofe lente e melodiche dove si sente, per qualche istante, la voce normale di Lisa (convincendoci che anche lei è in grado di raccontare favole ai bambini per farli addormentare senza provocargli incubi tremendi). La seconda infonde disperazione e terrore, incrementati dall’enfasi delle tastiere e dai fragori delle esplosioni dei bombardamenti e della mitragliatrice contraerea.
Altro pezzo di grande effetto e ‘Fatal Craving’, dove la rabbia è rincorsa dalla melodia e dai ritmi marziali.
‘New World Order’ ed ‘Ancient Tales’ sono carichi di adrenalina, incrementata dai cambi di tempo e dagli scontri tra tastiere e chitarre.
La parte finale comprende: ‘Beast Mode’, un Thrash ‘N Roll violento che, dopo un esplosione di suoni, si trasforma in un ritmo cadenzato e greve, ‘Greetings from Aleppo’, un Heavy Metal veloce, anthemico ed appassionato dedicato alla città siriana, patrimonio culturale dell’UNESCO purtroppo devastata dalla guerra civile e la conclusiva ‘Sweet Taste of Lies’, le cui battute iniziali tributano i Metallica, riprendendo ‘The Day That Never Comes’ da Death Magnetic, prima di partire con rabbia ad alta carica esplosiva.
‘The Hunter And The Prey’ è un album massiccio ed è il risultato di un percorso duro ed audace che speriamo che i Dying Gorgeous Lies proseguano con lo stesso ardore e la stessa serietà finora dimostrata. Non sappiamo se il mondo da loro immaginato diventerà una realtà (anche se tanti sono i presupposti), sicuramente loro sono concreti e tangibili. Bravi!!!