Recensione: The Hurricane
Ormai non si contano più le band che affondano le radici nell’humus del giardino chiamato Dream Theater. Tra queste, molte finiscono per rinsecchire in breve tempo, condannate da una cronica penuria di idee e, soprattutto, di buone canzoni. Di tanto in tanto, tuttavia, se ne trova qualcuna capace di emergere proprio per la qualità dei contenuti: è questo il caso dei Solid Vision.
Finalmente assestatasi dopo innumerevoli cambi di pelle e di monicker, la formazione cagliaritana torna oggi sul mercato dopo il promettente esordio del 2004. La solidità delle fondamenta musicali del nuovo The Hurricane è garantita da una competenza tecnica di prima classe, ma sarà sul terreno delle composizioni che si deciderà la partita.
La title track si pone in questo senso come paradigma dei contenuti dell’album: i richiami al sound del più celebre combo newyorkese sono evidenti fin dal primo riff, ma una struttura ambiziosa e sapientemente articolata, impreziosita da un’accattivante accoppiata bridge-ritornello, eleva il brano a standard qualitativi nettamente superiori alla media. Nonostante il non indifferente grado di complessità del pezzo, peraltro, l’efficace intesa tra i diversi strumenti rende la fruizione fin dall’inizio piacevole e scorrevole. Solo in fase di assolo capita talvolta che le individualità si concedano qualche spazio più del lecito, come nel caso del finale di Shattered World, ma il feeling resta garantito da una robusta dose di melodie fresche e mai scontate.
In evidenza subito un’affiatata sezione ritmica, data in consegna alle pelli di Yan Maillard e al basso di Riccardo Atzeni – da segnalare anche per alcune pregevoli intuizioni solistiche – capaci di garantire un costante apporto di fantasia e vivacità alle composizioni. Senza contare che una produzione più potente avrebbe potuto valorizzarne ulteriormente il contributo, in particolare nei frangenti più aggressivi di pezzi come Endless War o Spectrum (sicuramente uno degli highlight del disco).
C’è spazio anche per momenti più pacati e riflessivi: è il caso delle ballad semi-acustiche Will You Come Back Home? e Confusion. Tra le due sembra proprio quest’ultima la più ispirata, anche in virtù di un maggiore pathos nelle linee vocali. Si fa qui apprezzare l’eclettismo del tastierista Americo Rigoldi, convincente sia nei più intimi accompagnamenti al pianoforte sia negli assoli cibernetici ispirati al Rudess più futuristico. Questo aspetto si rivela con particolare evidenza soprattutto in un pezzo come Panic, uno degli episodi in cui l’impronta Dream Theater si fa più netta – con tutte le conseguenze che ne derivano. Decisivo in tal senso si rivela l’apporto alle chitarre del bravo Brian Maillard, qui più che altrove vicine al caratteristico riffing di John Petrucci.
Ma è pur sempre il collettivo a far da padrone, abile nel calibrare le proprie risorse senza cadere nell’errore – frequente quanto fatale per molte giovani formazioni – di compiere il fatidico passo più lungo della gamba. Al contrario il combo sardo si dimostra sempre cosciente del proprio potenziale e lo gestisce con piena padronanza, confermandosi in ogni circostanza all’altezza della situazione. Esemplare in questo senso la prova di Samuele Pintus al microfono: il suo maggior merito sta forse proprio nell’intelligenza con cui valorizza le caratteristiche del proprio timbro vocale, ora spingendosi senza fallo ad altezze anche notevoli (si ascolti la chiusura di Train of Mind) ora chiudendosi su tonalità più cupe e ruvide. Senza sbavature e, soprattutto, senza mai trascurare il lato interpretativo.
Resta un solo rimpianto, poiché il notevole potenziale espresso da un disco come questo rischia di rimanere soffocato dall’ombra di una band la cui influenza si è per molti rivelata alla lunga troppo profonda e pesante. Per compiere il decisivo salto di qualità – un balzo che sembrerebbe alla portata della formazione cagliaritana – è necessario abbandonare il sostegno dei riferimenti illustri e andare avanti contando solo sulle proprie gambe, anche a costo di correre qualche rischio in più.
Ma per quanto riguarda il presente, gli appassionati possono andare a colpo sicuro. Ad attenderli troveranno un album fatto di equilibrio e ispirazione, a tratti pacato, spesso aggressivo e sempre ricco di ottimi spunti melodici, come non capita tutti i giorni di trovare in tante prog metal band moderne.
Tracklist:
1) Ivan
2) The hurricane
3) Spectrum
4) Will you back home?
5) Panic
6) Train of mind
7) Confusion
8) Endless war
9) Shattered world