Recensione: The Inheritance

Di Fabio Vellata - 4 Agosto 2013 - 23:33
The Inheritance
Band: Witherscape
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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80

Quando si dice, artwork efficace.
Impossibile non restare affascinati sin dalla prima occhiata a “The Inheritance”, debut album del progetto Witherscape: l’elegante copertina dai tratti gotici ed orrorifici, per i fan di un certo Re Diamante, ha l’effetto d’attrazione pari a quello di una gigantesca calamita.
Via, urge indagare cosa c’è sotto e quali sono le caratteristiche di questa stuzzicante novità made in Century Media

Un interesse epidermico, che si tramuta in aspettative infuocate una volta scoperta la mente superiore responsabile dell’ideazione del concept e protagonista del suo sviluppo. Nulla di meno che Dan Swanö, musicista e produttore per il quale aggettivi magniloquenti e di massimo elogio si fanno persino banali ed ordinari.
Poliedrico, immerso nella musica al punto da divenirne un tutt’uno, capace di destreggiarsi a cavallo di molti generi differenti, il termine di “genio” è forse l’unico in grado di rappresentare al meglio la personalità di un artista tra i più influenti dell’ultimo ventennio, ideatore di autentiche punte di diamante per la scena estrema quali Edge Of Sanity, Moontower, e Bloodbath, insieme a perle di indescrivibile bellezza drammatica quali Godsend e soprattutto Nightingale, forse l’esempio più fulgido della capacità del mastermind svedese di coniugare con brillantezza gli aspetti prettamente musicali, ad un concept fascinoso ed avvincente (e chi ricorda la storia di “Breathing Shadow”, “l’ombra che respira”, saprà di cosa stiamo parlando).

Coadiuvato dal giovane ed ardimentoso polistrumentista Ragnar Widerberg, il buon Dan propone un menù che, alla sola descrizione, già stimola l’appetito.
Una storia a base di spettri ed oscuri manieri infestati da sinistre presenze, ambientata nelle remote profondità del nord della Svezia, tramite la quale dare pieno sfogo alla natura complessa e sfaccettata del classico songwriting in possesso di mr. Swanö.

Articolato lungo nove capitoli, l’album è un perenne rincorrersi di sfumature melodic death (stile Edge Of Sanity, esattamente!)  ed aperture gotico-progressive di chiara reminiscenza Nightingale, in un dualismo di atmosfere e sensazioni tale da rendere la narrazione movimentata ed accattivante al tempo stesso.
Dopo un ascolto reiterato ed approfondito, la qualità dei pezzi non appare tuttavia del tutto omogenea. Prodigiosamente efficace nella parte iniziale, il disco sembra, in effetti, perdersi un po’ nelle battute conclusive, smarrendo incisività e potenza immaginifica.

Il death melodico ed il growl furibondo di Swanö, si alternano a vocals pulite e ad un ritornello heavy-power nella lunga opener “Mother Of The Soul”, traccia in cui è facile apprezzare pure la verve chitarristica di Widerberg, musicista profondamente influenzato dalla classicità heavy. La ricchezza strutturale del brano, si alimenta inoltre nei piacevoli intermezzi dai toni smorzati e soffusi, a definizione di un pezzo che mostra lampante quanto l’estro compositivo del maestro svedese non sia andato smarrito, nonostante il lungo periodo di assenza dalle scene.

I capolavori dell’album si affacciano già all’approssimarsi di una coppia d’episodi di notevole spessore quali “Astrid Falls” e, soprattutto, “Dead For A Day”.
L’intuito e la sensibilità di Swanö per le melodie, ancorché inferocite da sprazzi in growl e scream (quasi black in alcuni passaggi), sono messe in evidenza nella struttura di brani dalle numerose sfaccettature, in cui si condensano death metal, dark, gothic e progressive puro, quest’ultimo sostenuto dal suono di tastiere decisamente fondamentali nell’opera di ammorbidimento delle sonorità più accese.
Senza alcun dubbio va a “Dead For A Day” la palma di pezzo top del disco, in virtù di un ritornello orecchiabile che si tinge di AOR (!!!), regalando imprevedibili sprazzi di sole ad un album altrimenti brumoso ed oscuro come la storia su cui si avvolge.

C’è spazio pure per un singolare ibrido death/blues tra le note iniziali di “Dying For The Sun”, passaggio decisamente ispirato che ancora una volta alterna violenze estreme con eleganza prog di radice quasi Pink Floydiana, per poi evolversi in una sorta di cantilena chitarristica che ricorda da vicino il tema di “In The Hall Of The Mountain King” di Grieg.
Altro giro ed altro colpo di genio con “To The Calling Of Blood And Dreams”, canzone che, a dispetto di un incedere introduttivo profondamente heavy, apre poi a repentine influenze melodiche, sfociando in un ritornello corale di grande enfasi che cede il passo a sventagliate power con cantato potente e pulito.
Power prog che sorprende anche nella successiva e veloce “The Math Of The Myth”, ennesimo esempio di dinamismo ed impatto cui non manca il solito ritornello orecchiabile (una costante del disco), inframmezzato da parti eseguite con distorsore vocale, drum machine ed effetti tastieristici alla Arjen Lucassen. Un pezzo che non avrebbe di certo stonato nel celebre progetto Star One.
Singolari quanto azzeccati, i battiti di mani che, di quando in quando, accompagnano ritmicamente le strofe.

Meno enfasi ed un po’ più di “maniera” – come specificato in apertura – è invece quanto reperibile nelle battute conclusive di questo comunque ottimo “The Inheritance”.
Piacevoli ma tutto sommato ordinarie e prive di grandi colpi di teatro appaiono la prog oriented “Crawling From Validity” e la più lunga “The Wedlock Observation”, pezzo dalla doppia anima che denota, pur senza assurgere alle vette dei capitoli precedenti, il solito eccellente stile di Dan Swanö, ancora una volta capace di allineare a growl esasperati, scream aggressivi e ritmiche al limte del thrash, passaggi armoniosi e di facilissima fruibilità.
Due pezzi che, pur nella veste di tracce meno ispirate del lotto, “sverniciano” – come si suol dire – buona parte delle produzioni heavy più recenti.

Il finale, a carico della brevissima e strumentale title track, suggella un album per larghi tratti delizioso ed appassionante, sia nella forma narrativa, quanto dal punto di vista prettamente musicale.

Un bel ritorno dopo qualche anno di assenza per il grandissimo Dan Swanö, artista “extraordinaire”, che, aiutato da un valido compare come Ragnar Widerberg, mette a segno l’ennesimo capitolo di successo in una carriera brillantissima.
L’augurio è quello di ritrovare Dan nuovamente in sella, il prima possibile, a nuove ed eccitanti avventure, qualunque sia la loro forma ed aspetto.
Magari, ripresa confidenza con le storie horror Lovecraftiane, con un fresco capitolo della saga Nightingale oppure, perché no, proprio dei Witherscape.

Musica della quale, non saremo mai sazi abbastanza!

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