Recensione: The Inquisition
I power metallers svedesi sono giunti alla pubblicazione del loro terzo album con questo The Inquisition, rilasciato qualche mese fa sotto le insegne della spagnola Arise Records, dalla quale la band si è di recente separata per accasarsi alla tedesca Massacre Records. Tra l’altro le novità relative a questa band non finiscono qui, si è appreso infatti che ben due membri del gruppo (Peter Johansson e Thomas Eriksson) hanno lasciato la band per motivi personali.
Il gruppo prosegue lungo il percorso iniziato con i due precedenti lavori, la proposta di questi ragazzi è puro power metal ultramelodico fortemente debitore alla tradizione power scandinava, inutile soffermarci più del dovuto sulle influenze riscontrabili in questo cd, Stratovarius e Sonata Arctica sono abilmente condensati in una miscela già sentita. La musica proposta tuttavia si discosta leggermente da quanto ascoltato nei precedenti lavori, il suono complessivamente si fa a tratti più grezzo, meno melodico, ma spesso per tutta la durata del disco il suono complessivamente appare freddo ed poco personale e non particolarmente ispirato, la voce del singer, sebbene per timbrica risulti troppo simile a quella di Tony Kakko, cerca di variare in parte le linee melodiche, in qualche frangente si fa più cattiva e tenta cantati in tonalità più basse risultando graffiante e catchy, le tastiere sono sempre presenti ma sembrano voler limitarsi alla creazione di atmosfere senza rubare la scena alle chitarre, alle quali sono affidate la definizione e l’esecuzione delle linee melodiche. Purtroppo i riffs portanti non mostrano particolare originalità, la sezione ritmica seppur precisa risulta prevedibile e scontata, il lavoro complessivamente manca del giusto appeal che faccia emergere questo disco dalla massa, la mancanza di creatività è la critica maggiore che si può avanzare a questo combo, composto comunque da bravi musicisti i quali dovranno sforzarsi in futuro di ricercare una propria via artistica al fine di proporre un songwriting più personale ed azzeccato.
Per quanto riguarda la canzoni l’opener The fallen one risulta essere una traccia grintosa e melodica che si sviluppa su un riffing roccioso che però lascia spazio adeguato agli assoli della lead guitar dalle linee melodiche piuttosto prevedibili. Under black wings ha in sé delle venature vagamente hard rock, la doppia cassa è anche qui tirata indicando ritmi sostenuti ma mai banali, sicuramente una delle tracce migliori del lotto. Salvation parte lenta con un solo di chitarra che lascia ben presto posto ad una struttura ritmica rigorosa, il cantato è eterogeneo alternando le solite tonalità tipicamente power a momenti più drammatici ed espressivi. Inside your mind è una traccia che parte bene con un buon riffing di chitarra sovrastato da una doppia cassa incessante, il chorus è arioso ma manca di incisività, risulta un po’ freddo ed insipido. Daydreamer si sviluppa una sua sezione ritmica in hard rock style, è più cadenzata rispetto alle altre tracce del disco, ha un coro davvero carino e melodico che non scade nel banale e nel già sentito. Drifting è l’immancabile ballad basata su chitarra acustica e voce, anche in questo caso non è certo l’originalità il punto forte di un pezzo che infatti scivola via in due minuti e mezzo di sostanziale indifferenza. La successiva The Burning è la canzone più interessante del disco: sebbene in essa ritroviamo tutti gli elementi tipici di una speed metal song, nel complesso la traccia è fresca e coinvolgente, il coro è avvincente e facilmente memorizzabile, le chitarre svolgono un lavoro eccellente ben assecondate da una struttura ritmica ottimamente impostata e le tastiere non risultano mai invadenti. Run or hide appare impalpabile, ben suonata e prodotta, per carità, ma al di là di un bell’assolo di chitarra nella parte centrale della traccia e di un riffing portante tirato a mille non sembra capace di imporsi sulle altre, le melodie non sono per nulla convincenti e le linee vocali si assestano su standard già sperimentati e piatti. Chiude il disco The sands of time risente anch’essa delle pecche enunciate fino ad ora, tipica power metal song priva di anima, con un coro scialbo ed irritante, salvata soltanto dalla buona produzione.
Questo nuovo capitolo della discografia degli Axenstar merita la sufficienza essendo un disco ben prodotto e ben suonato, forte di una line-up composta da validi musicisti e con un frontman di buon livello e dalla voce ben identificabile; certamente i più incalliti sostenitori del power metal riusciranno ad apprezzare questo cd, ai miei occhi purtroppo risulta penalizzato da un songwriting piatto e a tratti banale, poco personale e troppo influenzato dai maestri del genere.
Leonardo ‘kowal80’ Arci
Tracklist:
1. The fallen one
2. Under black wings
3. Salvation
4. Inside your mind
5. Daydreamer
6. Drifting
7. The burning
8. Run or hide
9. The sands of time