Recensione: The Insaziable Weakness

Di Daniele D'Adamo - 30 Gennaio 2016 - 19:15
The Insaziable Weakness
Band: Fall
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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72

Le poche note biografiche che accompagnano “The Insaziable Weakness”, debut-album dei texani Fall, non aiutano, nemmeno lontanamente, a capire per quale motivo l’album stesso abbia lo status di autoproduzione, ancorché distribuito dalla ClawHammer PR. Come sia possibile, cioè, che una band come quella appena citata non abbia in mano un contratto discografico con tutti i crismi.

Questo poiché basta davvero poco per rendersi conto che il melodic death metal prodotto dai Nostri sia di livello più che buono, se non ottimo. Perfetta l’esecuzione, grazie – anche – al contributo del batterista dei Soilwork Dirk Verbeuren, nonché delle voci di Jessie Frye (“Harvester”) e Asa Dubberly (“Cinis”). Perfetto il suono, registrato, missato e masterizzato da Robert Beltran ai Precision Studios. Con i tre membri titolari (Jessie Santos, voce, chitarra, tastiere; Daniel Benavides, chitarra; David Gutierrez, basso) che, in ogni caso, sanno bene come si tenga in mano al meglio uno strumento musicale.

Il death metal melodico di “The Insaziable Weakness” è piuttosto classico, anzi… classico. Perfettamente allineato ai tempi che corrono in tutto e per tutto, in alcuni ambienti è avvicinato al progressive metal ma, in tutta onestà, non sono poi molti gli elementi evolutivi che si rinvengono nel platter. Anzi, questi potrebbe prendersi ad esempio come status del melodic in epoca di vacche magre. Il genere, che vanta ormai un quarto di secolo di vita, in questo momento non è il più gettonato, dalle nuove generazioni. Per cui, quasi inevitabilmente, produzioni di alto livello come queste diventano automaticamente dei punti di riferimento.

I Fall mantengono il flavour europeo che tanto bene ha contribuito al successo di act ormai come gli In Flames o i Soilwork stessi, tuttavia ha mantenuto inalterato il contenuto energetico tipico del metal estremo. “Harvester” e “Soul Ignition” per esempio, ritmicamente sono due vere mazzate sulla schiena, accelerate sino ai limiti dei blast-beats. Certo, inevitabilmente, poi, c’è sempre il refrain armonico necessario a mantenere intatto e univoco il filo del discorso. A dire non particolarmente spesso, giacché il sound del disco non brilla per grande originalità. La personalità c’è, ma è un po’ anonima, agganciata a cliché assai consolidatisi nel corso del tempo. Tuttavia, la classe dei membri della formazione di Portland è sufficientemente elevata per minimizzare questo difetto… di gioventù, trattandosi di un’Opera Prima.

Eppoi, comunque, a tenere alta la bandiera Fall ci pensano le song. Anche queste ordinate e allineate all’ortodossia rock, ma ben pensate e costruite, utilizzando a profusione le tastiere, che ben si accompagnano allo stile del terzetto americano. Un brano come “Gods Of Ruin”, dalla pesantezza mostruosa e dalle accelerazioni devastanti, esce dalla claustrofobia proprio grazie al lavoro di Jessie Santos e, ovviamente, all’onnipresente ritornello melodico.

Non un capolavoro, “The Insaziable Weakness”, ma in ogni caso una dimostrazione che competenze tecniche e talento consentono sempre e comunque di tirar fuori di buono anche dai generi più sfruttati.

Esattamente come hanno fatto i Fall e il loro melodic death metal del terzo millennio.

Daniele D’Adamo

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