Recensione: The Jungle Revolution
Avaro di grosse soddisfazioni sinora questo 2024. Almeno, in ambiti AOR e melodic rock.
Qualche buon disco, un paio di novità interessanti (rigorosamente italiane) ed alcuni album da cui, francamente, ci saremmo aspettati di più.
In quest’ultima categoria possiamo inserire a buon titolo il nuovo uscito dei Cruzh, giovane band svedese (tanto per cambiare) che al terzo cd era attesa alla conferma dei buoni consensi ottenuti sin qui.
Un’attesa in parte delusa, seppur comunque edulcorata da qualche idea discreta in un panorama costellato dalle proverbiali “luci ed ombre”.
“The Jungle Revolution” mette sul piatto la solita formula fatta da hookline facili e ritornelli veloci, immediati. Tuttavia, durante l’ascolto complessivo delle undici canzoni, non è raro trovarsi a rivolgere l’attenzione altrove, distraendosi con i propri pensieri mentre la musica scorre di sottofondo.
Bello, se si cerca la compagnia di un accompagnamento distaccato. Meno buono se si desidera anche qualche emozione di contorno.
Il disco, tutto sommato, pare promettere bene. Le prime quattro / cinque tracce scorrono e divertono abbastanza: c’è una bella freschezza che fa presagire un tentativo di dare una svolta chitarristica ai brani. “The Jungle Revolution“, prima canzone, finisce per essere anche la migliore dell’intero disco. “Angel Dust” e “FL89“, pezzi successivi, sembrano una miscela di Bai Bang e Crazy Lixx, mentre “Killing in the Name of Love” e “SkullCruzher” declinano maggiormente sul melodico, denotando però già qualche crepa in termini di brillantezza. Non paiono motivi ispirati da particolari colpi di genio, pur mantenendo alto il profilo con buoni assolo e suoni accattivanti.
Scivola via senza incidere più di tanto invece il resto dell’album.
Pezzi ascoltabili, magari pure di qualche gradimento, ma fondamentalmente banali e già sentiti un milione di volte e più. Valgano d’esempio “Split Personality” e “Sold Your Soul”. Due brani che stanno a meraviglia sotto la definizione “filler”. O per dirla alla nostra, meri “riempitivi”, stiracchiati ed insipidi. Roba di contorno, che potrebbe andare bene come semplice b-side. Tracce che non incidono, passano via insapori ed incolori e vengono presto dimenticate.
Considerato che, tolto qualche buon giro di chitarra, il taglio al ribasso della qualità complessiva attanaglia l’intera seconda parte del nuovo cd dei Cruzh, i conti sono presto fatti.
Troppi filler, rari brani davvero di spicco ed un disco che pare quasi diviso in due con un colpo d’accetta. A stabilire però, una preponderanza di pezzi non proprio vincenti.
Invero troppo poco per definire “The Jungle Revolution” un valido successore dei due album che lo hanno preceduto.
L’abbiamo suggerito in apertura: ci saremmo aspettati di più. Questo è un cd che sembra scritto per contratto e non per reale voglia di comporre belle canzoni ed emozionare i fan.
Musica usa e getta insomma: suvvia, i Cruzh sanno fare di meglio.