Recensione: The Key
“Following the North Star shining abright, To a place of the holy birth site, Craving my need to kill the one, Born of the name Nazarene Son”.
Potrebbe essere descritto con queste poche parole l’allucinante concept fantascientifico racchiuso tra le trame di quest’album: infinite e visionarie elucubrazioni su eventualità futuribili dell’evoluzione umana, mistici viaggi nel tempo e nello spazio alla disperata ricerca della fonte dell’olocausto umano, della distruzione della mente e del pensiero a causa dei vapori assuefanti delle religioni; un viaggio a ritroso sino all’origine del male assoluto, identificato con la figura del Cristo, per annientarlo e favorire così la rinascita, la genesi, l’alba di una nuova e diversa linea temporale che porterebbe ad un rivoluzionario corso dell’umanità… l’antitesi.
A premonire tali sconvolgenti (in senso fisico) eventi futuri e descriverne gli sfocati paesaggi di assurde lande desolate in cui verremmo a trovarci, le menti vaneggianti e contorte dei filosofi Mike Browning (batterista-cantante, ex Morbid Angel) e Louis Panzer (tastierista) che sul finire degli anni ’80 decisero di incidere un profondo solco nella storia del Death Metal: aiutati da Mike Davis e Sean McNennery alle chitarre, diedero alla luce questo “The Key”, album fondamentale e spudoratamente sprezzante dei canoni del momento, coraggioso e superbo in quanto fu il primo disco di Death in cui vennero inserite (magistralmente) delle tastiere. L’abbattimento di questa barriera musicale (ma soprattutto psicologica) non è stata viziata da capricciose smanie puramente semplicistiche. Nel frangente non si tratta di basi tastieristiche portanti, ne tantomeno di mielose armonie composte nell’intento di snaturalizzare il genere e renderlo più accessibile come andrà di moda successivamente: tutt’altro. Qui gli effetti di synth servono a ricreare quell’atmosfera epica e malsana, lugubre e allucinante, distorta ma perfettamente evidente che il growl di Browning ci viene a raccontare: le tastiere non sono mai eccessive, mai hanno la presunzione di voler sovrastare la struttura delle canzoni ma semplicemente quella di accompagnarla e di evidenziarla in modo saliente.
Ma l’importanza storica di questo lavoro non è la sola fonte di interesse: l’ascoltatore si troverà di fronte a sconvolgenti intrecci chitarristici che lo accompagneranno durante tutto il viaggio all’interno dell’universo dei Nocturnus. L’atmosfera sulfurea e densa di insalubrità portatrice di tragedie cosmiche che permea tutte le canzoni di quest’album, grazie alle tastiere e ad un lavoro di chitarre mai banale (anche se talvolta un pò ingenuo), grazie agli infiniti e penetranti assoli che come dei lampi di luce fanno la loro breve comparsa tra i vari riffs penetrando con violenza nella mente di chi ascolta e grazie anche alla struttura ritmica essenziale ma potente e relativamente varia, consente di immedesimarsi completamente e farsi avvolgere dalla musica dei Nocturnus, come se stessimo vivendo in prima persona ciò che ci viene raccontato. Ed il caotico clima post-atomico che si respira, con le sue sferzate glaciali e meccaniche, con il cyber-growl horrorifico filtrato sapientemente nelle dovute circostanze, entrerà nelle nostre menti per rimanerci, come un ricordo sbiadito, come un vissuto che cerca di riemergere con forza dalle profondità del cosmo, dello spazio e del tempo siderali.
In conclusione, questo “The Key” è un album basilare, fondamentale sotto ogni punto di vista, non soltanto per l’innovazione introdotta con l’uso delle tastiere in ambito di Extreme-Metal, ma anche perché questi 48 minuti floridiani saranno la fonte di ispirazione, il mentore di numerose band che rifacendosi a questo platter fantascientifico sforneranno lavori sempre più evoluti e raffinati (come faranno gli stessi Nocturnus col seguente “Thresholds” e con l’ep omonimo), sempre più al confine del genere miscelandosi con universi musicali paralleli e dando forma ad un Death agli antipodi del convenzionale. I Nocturnus hanno aperto la strada a nuove frontiere e gli sono bastati solo due album e un mini a consacrarli giustamente e meritatamente nell’olimpo del Death. Un posto che gli spetta di diritto e che probabilmente avrebbero rafforzato ancora se malauguratamente non si fossero sciolti anzitempo, infrangendo così i sogni anticipati con il loro ultimo e visionario, omonimo ep “Nocturnus”.
“Obeying the matrix, The tyrant commands, Submissive controller, Armies of the Empire”.