Recensione: The Last Command

Di Alessandro Zaccarini - 23 Marzo 2005 - 0:00
The Last Command
Band: W.A.S.P.
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
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83

Lyrics may be considered offensive by some audience.

Siamo nel 1985 e la band del sommo Blackie Lawless è nel pieno della parentesi impertinente e impudente dei primi anni. Senza alcun pudore, tirandosi contro una grande fetta di censori pronti ad agitare in maniera minatoria crocifissi e ideali politici puritani (senza dimenticare le associazioni femministe), i pervertiti sessuali tornano alla carica dopo lo spettacolare e strepitoso capolavoro di fottuto hard rock grezzo ed esaltante che un anno prima li aveva lanciati, complice lo zampino di Ace Frehley (Kiss), nel panorama US e nel vecchio continente.

Archiviato un cambio dietro le pelli che non influenza troppo le linee ritmiche della band (dentro Steve Riley e fuori Tony Richards), la seconda incursione violenta e sfacciata dei W.A.S.P. sul mercato si apre subito alla grandissima con uno dei numerosi cavalli di battaglia della band americana: Wild Child. Ritornello orecchiabile, voce di Lawless inconfondibile e soliti modi villani e insolenti a fare da padroni in un pezzo che senza troppi dubbi si piazza tra le cose migliori dell’intero lavoro. L’attitudine sfrontata e carica di perversione della band regna anche nelle successive Ballcrusher e nella  Fistful Of Diamons, poi, il calo. Jack Action comincia a perdere terreno e le due pseudo-ballad Widowmaker e Cries In The Night, scritte da un Lawless giovanissimo per i New York Dolls che furono, seppur siano brani godibili e ben fatti, sembrano pesci fuor d’acqua in un album che, almeno per il momento, pare voler riproporre i cafoni screanzati del primo episodio.
Per il capolavoro dell’album (e pezzo tra i più grandi di tutta la carriera) la compagine californiana sceglie come meta per le sue scorribande proprio il bigotto Texas: roccaforte bacchettona e conservatrice degli States. Blind In Texas è un pezzo veloce, trascinante ed elettrizzante; praticamente un inno all’abuso di alcol e alla vita selvaggia come nella migliore tradizione del genere (vedi i maestri Ac/Dc). Sarà pure un brano semplice, dalla struttura regolare e per certi versi scontato se volete, ma le critiche non reggono di fronte a tanta energia e a una composizione tanto accattivante. The Last Command e Running Wild In The Streets tentano di ridare all’album la vitalità di cui pare necessitare, ma i ritornelli azzeccati e festaioli non riescono a trasmettere la devastante brutalità necessaria: dall’irriverenza che schifava l’America benpensante ci troviamo di fronte a una band festaiola e maleducata finché volete, ma non più tremendamente genuina e incurante.
Colpa della censura capitanata da Tipper Gore (difficile avere a che fare con la moglie del vice-presidente degli States), dei richiami della Capitol o della vena introspettiva che stava crescendo dentro il ragazzaccio provocatore? Non ci è dato saperlo, fatto sta che per rivedere una versione sbiadita dei W.A.S.P. di inizio album bisogna aspettare la conclusiva e provocante Sex Drive.

Nonostante tutto per la seconda volta in due anni i W.A.S.P. riescono nel loro intento: shockare i moralisti ed esaltare le masse dell’hard’n’heavy. Missione che va a segno grazie a un ottimo album che però non raggiunge gli altissimi livelli del predecessore, colpa un calo di aggressività e di impatto. Rammarico che colpirà chi, come il sottoscritto, ritiene l’animalesco debut l’apice indiscusso di Blackie e soci. Per le schiere di The Crimson Idol e dei W.A.S.P. più ragionati c’è invece di che gioire: seppur in maniera flebe e talvolta nascosta, qui cominciano a mostrarsi i tratti più riflessivi del signore indiscusso di questa band e una maturazione della sua musica.

Tracklist:
01. Wild Child
02. Ballcrusher
03. Fistful Of Diamonds
04. Jack Action
05. Widowmaker
06. Blind In Texas
07. Cries In The Night
08. The Last Command
09. Running Wild In the Street
10. Sex Drive

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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