Recensione: The Last Defence
Rage Nucléaire, Anaal Nathrakh, Lock Up, Abominant.
Quattro fra le più spaventose realtà attuali del Pianeta Terra in materia di metal estremo. Infallibili bombardieri di un sound portato oltre l’acme musicale, elaborato al solo scopo di devastare a tappeto quanta più superficie possibile. A essi, si possono aggiungere i tedeschi Keitzer, fautori di una mostruosa miscela i cui ingredienti di base sono death e black, con il contributo insostituibile dell’hardcore.
Proprio così: hardcore. Perché è con il suo supporto, che un sound già di per sé ai limiti della resistenza umana come quello dei due generi più sopra citati raggiunge vette d’incommensurabile ferocia sonora. Il tocco *-core, infatti, aggiunge all’armamento d’ordinanza quel qualcosa in più tale da renderla distruttiva, dirompente come la nitroglicerina. Un qualcosa in più identificabile come un flavour aspro, tagliente, secco, metallico, che sa di sangue. Quel giusto anzi perfetto ingrediente tale da rendere assolutamente sconquassante quello stile, che si chiami grindcore o altro alla fine è indifferente, che identifica con precisione i Nostri.
I quali, per meglio inquadrare “The Last Defence”, vantano una carriera di tutto rispetto, cominciata nell’ormai lontano 1999 e che ha prodotto ben cinque full-length (“…To Destroy The Planet Earth”, 2001; “Suicide Anthology”, 2005; “As The World Burns”, 2008; “Descend Into Heresy”, 2011; “The Last Defence”, 2014) assieme a due split (“System Overload / Dead Cells”, 2003; “Keitzer / dasKRILL”, 2007). Il che, condizione necessaria e in questo caso sufficiente, ha via via portato il combo teutonico a elaborare un sound spaventosamente esagerato in ciascuna sua componente. Non facendosi travolgere, nel contempo, dal caos strisciante, dalla confusione sia compositiva, sia esecutiva.
È chiaro, Tim Terhechte pare uno schizofrenico, dietro alle pelli; alimentando con mostruosa energia vampate di blast-beats dall’altissimo peso specifico. Non perdendo mai un colpo nemmeno negli ipnotici istanti da trance da hyper-speed e, soprattutto, non lasciando per strada nemmeno un watt di potenza. Come pazzo, pure, è il portoghese Christian Chaco, vocalist dall’ugola scatenata senza ritegno a cavalcare l’onda del growling o quella dello screaming, a seconda. Con una particolare bravura a mantenere il proprio lacerante urlo entro i confini dell’intelligibile. Stupendo, poi, il gigantesco, aberrante muro di suono costruito dai fulminei riff eruttati dalle due chitarre, che appare davvero infinito nelle sue dimensioni spaziali.
Facendo un passo indietro e tornando alle song, si può facilmente apprezzare la loro continuità stilistica che, bravi Loro, non intrappola le stesse in un cliché uguale per tutte. Certo, la pressione sonora esercitata dalla sequenza dei pezzi è semplicemente tremenda, e magari solo gli orecchi più allenati a tali abomini riescono a resistere senza frantumarsi per tutta la durata del platter. Tuttavia, è apprezzabile la ricerca di soluzioni comunque diverse, atte a non rendere noiosamente monolitica l’opera. Così, si possono citare alcuni episodi particolarmente interessanti: la parossistica aggressività di “Exist To Destroy”, lo sfascio completo di “Glorious Dead”, il main riff demolitore di “Crusade”, la totale annichilazione di “…Before Annihilation”.
I Keitzer e il loro “The Last Defence” non si possono magari prendere come esempio di rivoluzione musicale o di evoluzione stilistica. A pestare duro come loro, però, ci riescono in pochi. Davvero in pochi.
Daniele “dani66” D’Adamo
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