Recensione: The Last Hero
Gli Alter Bridge sono senza dubbio uno dei gruppi maggiormente rappresentativi della scena rock/metal contemporanea e non si può certo dire che la loro fama e la loro considerazione presso pubblico e critica siano casuali, vista la qualità degli album finora pubblicati e la tutt’altro che banale capacità di evolvere nel tempo senza tuttavia snaturare l’essenza di un sound e di una proposta divenuti ormai caratteristici.
Arrivati ad un certo livello e complice una discografia finora priva di passi falsi risulta pertanto normale che già il semplice annuncio di un nuovo album, con tutte le incognite del caso, o gli assaggi forniti dai tre singoli pubblicati in anteprima scatenino discussioni tra i fan e gli addetti contribuendo ad alimentare l’hype generale.
Dopo mesi di speculazioni “The Last Hero”, quinta fatica della band capitanata da Mark Tremonti e Myles Kennedy, è finalmente nelle nostre mani e occorre dire che anche questa volta, al netto di qualche momento di stanca, gli statunitensi non deludono.
Tredici brani per oltre un’ora di musica nella quale il quartetto di Orlando snocciola con grande disinvoltura pezzi a base di melodie ariose e cori anthemici (una novità in casa Alter Bridge) alternati con momenti più oscuri e riflessivi e con le abituali ballad/semiballad per poi chiudere il cerchio con una serie di canzoni dal taglio groove, certamente influenzate dalle recenti evoluzioni soliste di Tremonti.
Del primo gruppo fanno certamente parte l’apripista “Show Me A Leader”, brano dritto per dritto inedito nell’economia della band eppur in grado di conquistare sulla lunga distanza grazie alle ottime melodie, come pure la californiana “My Champion” e le travolgenti “The Writing On The Wall” e “Poison In Your Veins”, tutti brani mediamente più leggeri e radiofonici (termini da prendere ovviamente con le pinze, NdR) ma comunque ispirati e anzi indicativi di una certa voglia di ampliare ulteriormente il registro espressivo.
Con la bella “Cradle To Grave”, l’ipnotica “Losing Patience” e la prima parte della malinconica “This Side Of Fate” si torna a lambire lidi – o, per meglio dire, paludi – visitate tra i solchi di “Fortress” ma il risultato rimane di elevato valore sia a livello musicale sia a livello di liriche, con il valore aggiunto di qualche altro piccolo (grande) esperimento come l’incorporo di stacchi in grado di strizzare l’occhio al progressive e soluzioni vocali à la Muse.
Nel quarto e ultimo gruppo è poi possibile annoverare brani duri ed intensi come le granitiche “The Other Side”, con i suoi riff mastodontici e l’efficace contraltare costituito dalle ispirate vocals di Myles Kennedy, la non trascendentale “Crowns On A Wire” e “Island Of Fools”, thrashy nel riffing quanto catchy nel riuscito ritornello.
Un vero peccato, a fronte di una scaletta finora sostanzialmente al riparo da cali di tono (pur con qualche piccola perplessità sul fin troppo tirato refrain di “Crowns On A Wire”), constatare che per una sia volta il comparto ballad – da sempre fiore all’occhiello degli Alter Bridge – a toppare in maniera piuttosto vistosa proponendo due brani onestamente piuttosto spenti e privi di hookline vincenti come “You Will Be Rembered” (comunque la migliore delle due) e “Twilight”, certamente il punto più basso dell’intero album (e forse non solo).
Menzione a parte, infine, per l’ambiziosa suite “The Last Hero”, canzone tutt’altro che banale nel contenuto e nello svolgimento ma anche molto ricercata nelle soluzioni vocali e strumentali, molto coraggiosa ma in ogni caso altrettanto godibile, grazie alla complessa struttura e alle ricercate melodie vocali.
Gli Alter Bridge non deludono nemmeno stavolta, si diceva, per quanto rimanga il rammarico per la mancanza di una ballad degna di tal nome in grado di mettere definitivamente al tappeto l’ascoltatore; per il resto un altro degnissimo tassello nella discografia di una delle band simbolo degli anni 2010. A buon intenditor…
Stefano Burini