Recensione: The Last In Black

Di Stefano Ricetti - 23 Luglio 2021 - 12:21
The Last In Black
Band: Vanexa
Etichetta: Black Widow records
Genere: Hard Rock 
Anno: 2021
Nazione:
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76

La svolta, in casa Vanexa, era già avvenuta nel 2016, con Too Heavy To Fly. La band, punta di diamante delle avanguardie heavy metal del nostro Paese per il tramite del celeberrimo Vanexa del 1983, disco che fece scuola e aprì la strada ad altri barbari tutto borchie e acciaio, nell’ultimo lustro ha dato fondo a tutte le proprie riserve di marca hard rock.

La line-up è rimasta invariata, oltre ai fondatori Sergio “Dr. Schafausen” Pagnacco (Basso) e Syl Bottari (Batteria) troviamo Artan “Tani” Selishta e Pier Gonella alle chitarre e “Ranfa” Ranfagni dietro al microfono. Il tutto all’insegna della continuità.

In quest’ottica va inquadrato il nuovo The Last In Black griffato Black Widow Records, album dalla cover  azzeccatissima, realmente in grado di “bucare” lo schermo, come si dice in gergo: 60 minuti declinati lungo undici pezzi all’insegna della musica sì dura ma di classe. Il Cd si accompagna a un libretto di sedici pagine con tutti i testi, numerose foto della ragazza in copertina e uno scatto a due facciate (quelle centrali) che raffigura la band al completo.

L’opener “The Last In Black”, che riserva un finale bello heavy, possiede le medesime stimmate di “Too Heavy To Fly”: il brano simbolo del disco, quello da concerto che non mancherà nelle prossime prove dal vivo della band ligure. “My Grave”, se fosse stata concepita un po’ più pesante, avrebbe inciso maggiormente nell’economia del disco, vista la caratura del brano. “Earthquake” inaugura la vena melodica dei Vanexa, che verrà sapientemente spalmata su altri brani quali Perfect! (L’highlight del disco, per lo scriba), “Armless” ripresa dai tempi dei 404 qui in versione 2021, “Dead Man Walking” e “Like a Mirage”, figlia dei migliori Dokken d’annata. Ed è proprio su questi pezzi che si sviluppa la cifra dei Vanexa 2021: esperienza, perizia nei suoni e classe a profusione al servizio della canzone, necessariamente dal Dna adulto.

No Salvation” incarna un rigurgito dei bei tempi andati benché un po’ di Ovomaltina in più non avrebbe di certo guastato, “Doctor Strange” si rifà alla tradizione hard inglese degli anni Settanta e colpisce nel segno: il refrain entra in capoccia e non se ne esce più per giorni mentre “I Don’t Care” passa senza impressionare. Chiusura ad appannaggio di “Hiroshima”, un piacevole ripescaggio da Back From The Ruins del 1988. Impressionante rilevare la differenza di songwriting fra i Vanexa di allora e quelli di oggi, a livello di tiro, visione e quello poi effettivamente arriva alle casse. Ottima l’idea di proporre la stessa “Hiroshima” sia in lingua inglese che, poco dopo, in italiano.

The Last in Black? Dopo esserselo sparato più e più volte nel lettore la speranza che questo disco targato  2021 non sia il “The Last” per il combo ligure. Nonostante il mutamento, il Dna permane quello giusto e l’attitudine affonda nelle radici dell’HM e comunque, per noi,  i Vanexa rimarranno sempre quelli. Stazioneremo nelle prime file ai loro concerti, pugni borchiati al cielo, ad attendere con trepidazione “1.000 Nights”, “Metal City Rockers”, “Rainbow In The Night”, questo è sicuro. E, come scritto nel booklet: Roby we remember you (Roberto Merlone, chitarrista dei Vanexa. 1958 – 2019).

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

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