Recensione: The Last In Line
Ronnie James Dio, un nome che dice tutto ad ogni buon appasionato di HM come gli dei lo hanno creato. Un personaggio (oltre che un cantante) teatrale, espressivo, una delle più grandi voci e presenze sceniche del rock, con alle spalle una gavetta che anche io stento a credere: prima nei the Prophets a suonare con la tromba (il suo primo strumento) una specie di rock and roll alla Elvis, poi agli Elf, band hard-rock/blues e successivamente passare agli storici Rainbow a firmare i loro migliori album ed altri due capolavori ai Black Sabbath. Dopo tutti questi cambiamenti di band, Ronnie aveva l’esigenza di una band propria, dove poter avere pieno controllo, così nascono i Dio, ben più di un progetto solista sulla falsariga di Ozzy, ma un vero e proprio gruppo. Dopo aver pubblicato il loro capolavoro assoluto (il loro migliore platter a mio avviso) Holy Diver nel 1983, sull’onda di questo strepitoso successo pubblicano nel 1984 una nuova fiammante gemma d’acciaio, The Last In Line. La formazione è la stessa dell’anno precedente, ed annovera grandissimi musicisti: Ronnie James Dio (Voce), Vivian Campbell (Chitarra, ex Sweet Savage futuro [ahimè] Def Leppard), Jimmy Bain (Basso, ex Rainbow) e Vinny Appice (Batteria). A curare le brevi parti di tastiera nelle song è Claude Schnell, tastierista che ha già lavorato dietro le quinte dei Black Sabbath, stranamente non viene riportato nella line up. Il suono qui è puro metallo, un pò meno aggressivo rispetto al precedente, con una produzione leggermente pulita, ma sempre purissimo heavy metal impreziosito dai riff e dalla voce poetica del sempre grande Dio.
L’opener è quanto di più roccioso e grintoso si possa desiderare da un brano del genere, We Rock, un titolo che è tutto un programma. Up-tempo dalla batteria terremotante, dai riff ultra metallici, dal ritornello anthemico e grintoso da pugno al cielo e dall’assolo strepitoso di quel piccolo guitar hero che è Vivian (non capisco come adesso si sia ridotto a suonare chitarra ritmica e dire “I Love you” in un gruppo ormai ridotto al pop come i Def Leppard). Epica e maestosa la title track, The Last In Line, che inizia in un modo atipico, sembrerebbe quasi una ballad dall’inizio, ma presto un riff imponente irrompe travolgendo l’ascoltatore. Mid-tempo dannatamente evocativa in cui ogni componente fa un grandissimo lavoro (specialmente Jimmy Bain ed il solito eccelso Campbell), canzone da consegnare alla storia del metallo pesante. Eccellente anche la seguente Breathless, con dei riff stupendi ed un ritornello catchy quanto originale, pregievole l’assolo, uno dei più belli del disco se non il migliore. E’ giunto il momento di un fulmine metallico, I Speed At Night, una delle song più veloci ed heavy dei Dio, dalle chiare influenze NWOBHM e dai riff semplicemente da applauso, grande prova di Vinny Appice e la voce di Ronnie James come sempre straordinaria che si intona perfettamente con la velocità della canzone, parte chitarristica tra le migliori della discografia dei Dio, gemma assoluta. Molto hard rock nel suo incedere è One Night In The City, canzone contente forse i più bei riff del disco, eccezionale ed una song in cui Ronnie raggiunge i suoi massimi. Discorso simile al precendete per la più aggressiva e veloce Evil Eyes, parti vocali come sempre pazzesche (specialmente nel ritornello) ed il “solito” assolo al fulmicotone. Completamente diversa invece la seguente Mystery, il brano più debole del disco, a mio avviso (non me ne vogliano i fan più accaniti della band) è una delle peggiori canzoni della produzione della band, carina ma un pò banalotta. Decisamente meglio Eat Your Heart Out, dall’inizio veramente d’acciaio, si evolve in un pezzo ben ritmato da headbanging puro, ottimo il refrain e la prova dietro le pelli di Vinny, non un pezzone ma sempre godibilissimo. Finale col botto per un capolavoro simile, Egypt (The Chains Are On), la closer del platter è per me la migliore song di tutto il disco ed una delle migliori mai scritte dal gruppo. Un inizio molto orientaleggiante ci porta in una marcia epica dai riff oscuri e malvagi e dal songwrting molto vario, la divina voce di Ronnie che intona magistralmente storie sull’Egitto ed il migliore assolo (lungo per lo standard del disco) del grandissimo Vivian, una song senza tempo.
Questo LP è per me è secondo solo a Holy Diver come palma del migliore disco dei Dio, un disco immenso e seminale, dotato di una magia e di un’epicità tutta speciale come nel classico stile di Ronnie James Dio, un cantante, un personaggio, una storia, una delle più grandi voci della nostra musica, da avere.