Recensione: The Last Journey

Di - 27 Maggio 2012 - 0:00
The Last Journey
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Anno: 2012
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78

Nuovo capitolo nella storia dei tedeschi Black Messiah, band tedesca convertita al Viking Metal dopo aver mosso i primi passi – piuttosto oscuri nel demo “Southside Golgotha” datato 1995 –  nell’ambiente Black. Scelta azzeccata, con il senno di poi, quella dei Nostri, capaci di sfornare cinque album di buona fattura (con i fiosiologici alti e bassi) e coronata più che degnamente con la pubblicazione di quest’ultimo “The Last Journey”.
Viking metal piuttosto convenzionale nel suo complesso, sia per le tematiche profondamente anticristiane degne del genere, che per il modo di presentare la propria musica. Riff veloci, cavalcate epiche, cori eterei ed una voce rude quanto basta ad essere credibile, il tutto supportato da una batteria i cui suoni, spesso, risultano un po’ troppo artificiosi visto il massiccio utilizzo dei trigger che tendono a  rompere gli equilibri conquistando troppe volte un ruolo preponderante su tutti gli altri elementi.
Vera carta in più nel mazzo a disposizione dei Black Messiah è senza dubbio il violino di Zagan, vero e proprio ago della bilancia che sposta con il suo magico suono l’equilibrio del giudizio complessivo verso l’eccellenza perché capace di sublimare le melodie rendendole particolarmente coinvolgenti ed emotivamente efficaci. Su tutte menzione d’onore per l’interpretazione del tributo ai Candlemass in una strepitosa “Into The Unfathomed Tower”, in cui l’archetto si fonde in un amplesso quasi sessuale con il legno dello strumento, regalando una sequenza di note – e brividi – difficilmente riproducibili con il solo uso delle parole.

Disco tendenzialmente diviso a metà questo “The Last Journey”; la prima parte è composta da sei canzoni non particolarmente legate tra loro se non per il ricorrente tema dell’avversità al cristiano invasore, odiato e tirannico usurpatore della legittima sovranità pagana. Degno di nota, a tal proposito, il passaggio fiero e tracotante d’indomito orgoglio di “Der Ring Mit Dem Kreuz” che sentenzia: “Si può bruciare la mia casa e il mio cuore, potete uccidere il mio bestiame e il mio cavallo nel nome del vostro signore ma la mia anima non si pentirà mai. Puoi prendere la mai vita con le armi e torturarmi con il fuoco, io sono pronto. Anche se mi accecherai con il fuoco io non bacerò mai il tuo anello e la tua croce”. Orgoglio che si palesa anche nella seguente “To Become a Man”, brano toccante e ricco di valore simbolico che racconta della prima battaglia in cui padre e figlio si trovano schierati l’uno di fianco all’altro. Significative le parole che il genitore rivolge al giovane nei pochi attimi che precedono lo scontro: “qui in battaglia la tua infanzia è terminata; resta calmo, se puoi”. Toni decisamente più cupi, bellicosi ed oscuri nella seguente “Feld Der Ehre” in cui la band si abbandona a melodie melanconiche ed evocative, degne del testamento musicale di un guerriero prossimo alla capitolazione che dedica la sua morte ad Odino. Anche in questo caso il violino si strugge e regala ambientazioni degne di un colossal hollywoodiano. In effetti, in certe parti, il disco può dare quella fastidiosa sensazione di estrema pomposità, quasi ridicola. Ma è un impressione del tutto fuorviante: “The Last Journey” è un lavoro molto ben pensato e realizzato a regola d’arte dai sei musicisti tedeschi capace di crescere d’intensità ad ogni ascolto.
A “Lindisfarne” il compito di chiudere metaforicamente la prima parte del full-lenght con un brano ricco di storia ed indubbio fascino. Per tutti quelli che si avvicinano al genere da poco, è giusto spiegare l’origine di questa canzone. Lindisfarne, conosciuta anche come ‘l’isola santa’, è stata attonito teatro di una delle prime incursioni vichinghe di cui è rimasta traccia, nel 793. Nel brano si descrive in maniera efficace il massacro dei  monaci e il conseguente saccheggio ad opera dei temutissimi “diavoli del nord”.

“A furore normannorum, libera nos Domine”

Lo scenario cambia veloce come il tempo atmosferico in alta montagna; un dolce arpeggio ci dà il benvenuto nel mini concept che il gruppo dedica a Naglfar, la nave mitologica costruita con le unghie dei morti, che da Múspellheimr condurrà le schiere del kaos allo scontro finale: Ragnarök.
Inadeguata e generalmente avulsa dal contesto la voce femminile chiamata a dar vita alla funerea Hel; ad essere sincero, per la voce della padrona degli inferi, mi sarei aspettato un timbro più ruvido, acido e glaciale. Piccoli nei che non inficiano troppo sul giudizio generale; certo è che un po’ più di attenzione verso questi particolari non sarebbe stata una idea da scartare anche perché, sono proprio i particolari, i dettagli anche più apparentemente insignificanti, a rendere un buon lavoro un lavoro eccellente. Discorso riconducibile anche alla scelta dell’artwork che, dal mio punto di vista, poteva essere curato maggiormente anche se oramai conosciamo i gusti più che discutibili dei tedeschi, dopo aver visto copertine pessime come, ad esempio, in “Oath of a Warrior” e “First War of the World”.
Tornando alla musica “The Naglfar Saga” racconta la triste storia di un rinnegato, di un uomo vile che, grazie al comportamento disonorevole in vita, si è visto rifiutare l’ingresso nella Valhalla precipitando quindi ai piedi di Hel. La voce ruvida di Zagan lascia spazio a parti quasi recitate in un clean molto impostato dal vago sapore lirico. Anche se lontano da timbri prettamente operistici, il cantato ci offre uno spaccato estremamente epico, quasi ai confini con il Power di chiara matrice teutonica.
Piuttosto coinvolgente nella sua estrema semplicità, la storia viene raccontata in prima persona dal guerriero dannato nell’ultimo viaggio verso l’oblio. Storia che fila liscia come la prua di Naglfar, scricchiolante, nel suo incedere sicuro attraverso le onde.  All’estro compositivo delle chitarre di Frangus e Meldric il compito di mettere la parola fine, con l’eccellente “Sailing Into Eternity”, alla Saga di Nagfar e, di conseguenza, al disco. Un buon lavoro senza ombra di dubbio, godibile ed estremamente accattivante che ha il pregio di tenere lo standard qualitativo dei Black Messiah su livelli piuttosto elevati e l’attenzione dell’ascoltatore sempre alta. Cosa non così scontata, quest’ultima, visti i tempi che corrono.

Una chiglia avanza da est: verranno di Múspell
sul mare le genti, e Loki tiene il timone.

Völuspá, 51

Daniele Peluso

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TRACKLIST:

01. Windloni     
02. Der Ring Mit Dem Kreuz     
03. To Become a Man     
04. Into the Unfathomed Tower (A Tribute to Candlemass)     
05. Feld Der Ehre
06. Lindisfarne     
07. The Naglfar Saga : Prologue – The Final Journey
08. The Naglfar Saga : Mother Hel     
09. The Naglfar Saga : On Board     
10. The Naglfar Saga : Sailing Into Eternity

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