Recensione: The Last of a Dying Breed: 40 Years in Metal
Molti, fra i più stagionatelli, assoceranno gli svedesi Axewitch alla copertina del loro The Lord Of Flies, del 1983. Ellepì dall’immagine iconica che era facilissimo incontrare nelle varie rastrelliere viniliche nei negozi di un tempo e nei mercatini, sempre di un tempo. Ora, vista la scarsità dei primi e la stessa scarsità di proposte interessanti (mediamente) dei secondi, un po’ meno.
Il gruppo nacque nel 1981 in quel di Linköping per volere di Anders Wallentoft (voce) e Magnus Jarl (chitarra), ai quali si unirono successivamente Tommy Brage (basso) e i due fratelli Johansson: Mikael (chitarra) e Mats (batteria). Fuoco e fiamme per poco più di un lustro e poi lo scioglimento avvenuto nel 1987, dopo la pubblicazione di tre album: Lord of Flies (1983), Visions of the Past (1984), Hooked on High Heels (1985) più un paio di Ep.
Vent’anni dopo, nel 2007, avviene la ricostituzione del gruppo intorno alle figure degli storici Anders Wallentoft, Magnus Jarl, Mikael e Mats Johansson ai quali si aggiunge la new entry Lasse Fallman al basso al quale subentra Björn Hernborg nel 2012. Un rientro in grande stile che schiera ben quattro quinti della classic line-up degli anni Ottanta. Segue un Ep e il full length Out of the Ashes Into the Fire del 2021. E’ di quest’anno l’uscita The Last of a Dying Breed: 40 Years in Metal, una compilation contenente canzoni appartenenti al passato degli ‘Axes completamente risuonate dall’attuale formazione, che si avvale delle tastiere aggiuntive di Anders Sundelin. Il tutto avviluppato dentro una confezione digipak contenente un libretto di otto pagine con parecchie foto, flyer, tutti i testi dei vari brani sovrimpressi sulle copertine dei dischi del passato messe nelle grafiche di sottofondo. Una realizzazione griffata Hooked on Metal Records atta a celebrare i quattro decenni (non continuativi) di dedizione all’heavy metal di stampo tradizionale da parte dei cinque die hard della Svezia meridionale. In realtà il periodo setacciato dalla band è esclusivamente il primo, sino al all’uscita del loro secondo album, Visions Of The Past del 1984. Il resto della produzione viene totalmente (e stranamente, dal momento che il titolo della raccolta pare orientato a inglobare tutta quanta la parabola artistica del gruppo) ignorato.
E, guarda caso, scorrendo i titoli ricompresi all’interno si scopre che ben sei di essi appartengono all’album citato a inizio recensione, The Lord Of Flies. Iconico oltre che probabilmente il migliore degli Axewitch.
La ricetta sperimentata da parte di Anders Wallentoft e soci sin dal 1981 prevede Acciaio poggiante su solidissime basi di natura Saxon/Krokus misto a melodia, in linea con la tradizione scandinava e The Last of a Dying Breed: 40 Years in Metal non delude di certo le attese, in questo senso. La loro proposta richiama fortemente quanto realizzato in carriera dai nostri Skanners e Royal Air Force. “Sinner”, “Death Angel” sono robuste schegge di possente Metallo classico di facile presa 100% di marca Axewitch, a ribadire al mondo intero il loro Dna. Le variazioni (si fa per dire, vista la barra dritta degli ‘Axes) al tema rispondono ai nomi di “High Power” e “Axe Victim”.
A conti fatti The Last of a Dying Breed: 40 Years in Metal centra in pieno il bersaglio (anche se qualche pezzo in più sarebbe stato gradito), fornendo uno spaccato credibile di una band altrettanto credibile (non foss’altro per la compattezza della line-up in onore ai bei tempi andati) che dell’heavy classico ha fatto la propria bandiera sin dall’inizio.
Sublime, poi, ritrovare stampato a chiare lettere sulla serigrafia del cd la seguente frase:
If it ain’t rock’n’roll
it ain’t worth shit!!
Axewitch: old school metal since 1981!
Hälsningar!
Stefano “Steven Rich” Ricetti