Recensione: The Living Dead
Correva l’anno 1984 quando, sotto l’ala protettrice della Noise Records, gli allora giovanissimi Grave Digger pubblicavano quel seminale e devastante “Heavy Metal Breakdown”, dando così prova tangibile della loro esistenza. Fra i padri indiscussi del power metal teutonico e mondiale, il gruppo di Chris Boltendahl occupa un posto di assoluta importanza nell’Olimpo degli Dei del Metallo più sanguigno e verace, restando sempre sulla cresta dell’onda in oltre trentacinque anni di onorata carriera. Ancora oggi, dopo album divenuti simboli del genere rappresentato, come “Heavy Metal Breakdown”, “The Reaper”, “Tunes Of War” e molti altri, il mito dei Grave Digger non sembra conoscere limiti e torna con il nuovissimo “The Living Dead”, pubblicato in questi giorni per la Napalm Records.
Un artwork suggestivo e pacchiano presenta la diciannovesima fatica discografica dei nostri, mentre a rompere il silenzio è il granitico riff della enigmatica “Fear Of The Living Dead”. Gli ingredienti tipici del sound del combo tedesco non sono cambiati poi molto negli ultimi trent’anni: il brano è guidato dalla potente ed inconfondibile voce di Boltendahl che, ottimamente coadiuvata dal resto della band, riesce a rendere timidamente accattivante un brano particolare nelle melodie, ma privo della giusta convinzione per imporsi a lungo nella memoria del fruitore, non permettendo dunque all’album di decollare nella giusta direzione.
Maggiormente ispirata sembra essere la seguente “Blade Of The Immortal”, la quale sicuramente può contare sulla fierezza di un ritornello battagliero e d’impatto, sempre condotto da un Boltendahl vocalmente in piena forma.
La violenta e serrata “When Death Passes By”, conferma la bontà di un songwriting ormai pienamente consolidato ed in grado di offrire momenti di pura adrenalina, scacciando dunque il pericolo iniziale di trovarsi di fronte ad una band svogliata ed in crisi compositiva.
Ottima anche la cupa e sostenuta “Shadow Of The Warrior”, dominata da una sezione ritmica come sempre impeccabile nel costruire un muro di potenza e dinamicità alle melodie inanellate con maestria dal bravo vocalist, sempre perfettamente in primo piano, con tanto di citazione ad “Over the Hills and Far Away” nel solo di chitarra.
Pur non aggiungendo nulla di nuovo a quanto proposto finora dal gruppo tedesco, “The Power Of Metal” risulta essere discretamente piacevole all’ascolto, grazie soprattutto ad un refrain semplice e molto orecchiabile. Stessa sorte anche per la successiva e solenne “Hymn Of The Damned”, la quale è seguita a ruota dalla spietata “What War Left Behind” che, in verità, non disdegna di volgere uno sguardo di ammirazione verso il classico sound dei britannici Judas Priest.
La furia sprigionata fin qui dai Grave Digger è poi inaspettatamente spezzata dalla più rockeggiante e controllata “Fist In Your Face”, episodio senz’altro spensierato e (forse) un po’ fuori contesto, anche se comunque di buona qualità artistica.
L’intromissione di un basso synth nelle prime note della successiva “Insane Pain” e la colossale citazione di “Hey Joe” (Jimi Hendrix), nel break strumentale della stessa, stupiscono ma, anche in questo caso, il gruppo dimostra di aver saputo confezionare un altro buon episodio di classico Power Metal tedesco.
Pochi minuti dopo, con un abilissimo colpo di coda, i nostri incastonano la divertentissima “Zombie Dance”, brano del tutto atipico ma simpatico all’ascolto, la quale precede la più classica “Glory Or Brave”, inclusa nell’album come Bonus Track e posta a sigillo di un platter a tratti riuscito ma anche piuttosto poco memorabile in altri e, comunque, molto distante dal glorioso passato di cui sono stati protagonisti Boltendahl e soci.
Francesco Sgrò