Recensione: The Long Goodbye
Quando si affronta il tema ‘post-black’, non possono che venire in mente i transalpini Alcest, sicuramente fra i Maestri in materia. Tuttavia, si tratta di un filone musicale talmente vasto, per possibilità melodiche, che non è difficile imbattersi in ensemble capaci di regalare grandi emozioni a chi ascolta. Nella categoria di questi ultimi rientrano gli olandesi An Autumn For Crippled Children, di origine relativamente recente, ma già autori di ben due EP (“Hearts Of Light | Blossoms”, 2013; “Try Not To Love Everything You Destroy”, 2014) e cinque full-length (“Lost”, 2010; “Everything”, 2011; “Only The Ocean Knows”, “Try Not To Destroy Everything You Love”; “The Long Goodbye”, 2015).
Proprio l’ultimo, “The Long Goodbye”, appare sin da subito capace di sondare in profondità le più languide propaggini dell’animo umano. Non è un caso che il post-black sia accumunato, o meglio avvicinato, ad altre realtà che fondano le battute del ritmo sul pulsare del cuore, come ‘shoegaze’, ‘eerie-emotional music’, ‘atmospheric’ e ‘depressive black metal’. Fogge artistiche, insomma, che non provano vergogna a lasciarsi immortalare con le guance rigate da lacrime di sofferenza. Sofferenza che a volte non ha un perché, ma che fa parte della vita dell’Uomo come una sorta di sottilissimo ma tagliente ‘male di vivere’.
Forse, di più, l’ispirazione che muove gli An Autumn For Crippled Children è dovuta a un’inesauribile sorgente dei sogni, che – ubicata chissà dove nella mente – lascia sempiternamente l’amaro in bocca agli animi più sensibili e dolci. Appare quindi antitetico che a modulare le meravigliose armonie di song come “Converging Towards The Light” e “A New Form Of Stillnes” ci sia, in fondo, il black metal. Sinonimo di sentimenti considerati negativi se non addirittura contrari alla vita dalla generale accezione della cosiddetta ‘gente comune’. Invece, a lacerare il diedro dello spazio-tempo sì da consentire ai viaggiatori del post-black di raggiungere, con le loro emozioni, i più remoti angoli dell’Universo per cercare di trovare asilo al proprio dolore, ci sono proprio, e segnatamente in questo caso, le caratteristiche nonché uniche linee vocali in screaming che fanno parte del background culturale, guarda caso, del black metal. Le quali, assieme a un riffing parecchio effettato ma non aggressivo, a un caldo e morbido pulsare del basso e a ritmi a volte sostenuti ma mai esasperati, dipingono in maniera completa e univoca lo stile del terzetto di Friesland.
Uno stile assai fedele agli stilemi della tipologia musicale, pertanto non particolarmente ricco di originalità. Pur essendo adulto, ben formato ed elaborato in maniera impeccabile, il sound degli An Autumn For Crippled Children può apparire troppo simile ad altri. La bravura compositiva della band, però, è tale da fuorviare l’attenzione dall’aspetto meramente formale per indirizzarla sulla questione della sostanza e cioè sulle canzoni. Sulla loro carica di armoniosità, sulla loro passionalità, sulla loro trasognante visionarietà, sulla loro capacità di accordarsi con le recondite corde che vibrano nel cuore. Da sempre indicato dall’Uomo come instancabile generatore di commozione, passione, trepidazione.
Osservato da questo punto di vista, legato cioè al vorticoso turbamento dello spirito, allora, “The Long Goodbye” regala momenti di piacere assoluto durante i quali si fluttua a occhi socchiusi fra aurore boreali, tramonti sul mare, albe sui nevai. Il che, chiudendo il cerchio, rimanda più su, all’inizio, e alla filosofia che pulsa alla base del post-black.
Centrandola in pieno.
Daniele “dani66” D’Adamo