Recensione: The Longest Night
Secondo album per gli statunitensi Pharaoh, che vedono tra le loro fila quel Tim Aymar, già voce dei Control Denied del mai troppo compianto Chuck Schuldiner.
L’iniziale “Sunrise” è un brano piuttosto lungo, in cui la band dimostra di aver imparato la lezione dai gruppi storici del Metal made in U.S.A., riuscendo però a dare al tutto un tocco personale e moderno grazie ad arrangiamenti piuttosto particolari, senza mai perdere di vista il concept musicale di base. Da segnalare anche la presenza dell’ex axeman dei Megadeth Chris Poland, che in veste di ospite impreziosisce il pezzo con un suo assolo.
Nel corso del disco la band alterna pezzi più ragionati ad altri più immediati e tirati, riuscendo a risultare piuttosto convincente in tutte e due le versioni.
Davvero belli pezzi cattivi e violenti come “I am the Hammer”, in cui il buon Aymar sfodera tutta la sua cattiveria, “Endlessly”, mid tempo potente e cattivo, senza che il gruppo perda mai di vista una buona melodia di base, “The Longest Night”, la canzone che mi ha convinto meno del lotto oer via di melodie scontate e troppo “allegrotte” in certi punti, la maideniana “Fighting”, che non sarà il pezzo più originale che si sia mai sentito, ma che riesce a trascinare e coinvolgere in maniera davvero stupefacente, “Like a Ghost”, che con le sue ritmiche sincopate dona varietà all’album, senza però perdere in potenza, tranne che nel break centrale che francamente non mi ha convinto appieno.
Sul lato più melodico e “rilassato” dei Pharaoh trovano invece posto canzoni “Up the Gates”, che unisce riff tipicamente Metal ad atmosfere più rilassate, e “In the Violet Fire”, probabilmente il brano più introspettivo del disco, e sono proprio queste le canzoni che mettono maggiormente in luce le doti compositive della band, che dimostra davvero di saperci fare, in particolare in fase di arrangiamento.
Una nota a parte la meritano di sicuro “By the Night Sky”, un pezzo che riesce ad unire l’anima più tipicamente Metal del gruppo a quella più atmosferica, riuscendo così a dare uno spettro musicale ed emozionale completo su quelle che sono le caratteristiche dei Pharaoh, e la conclusiva “Never Run”, canzone strumentale in cui la band preferisce concentrasi su melodie e riff potenti piuttosto che esibire della tecnica strumentale fine a se stessa, pur presentando passaggi solisti tutt’altro che semplici.
I suoni non mi hanno convinto più di tanto, troppo poco potenti per un prodotto del genere vanno in parte ad intaccare il potenziale delle song presenti nel disco.
Sotto il profilo tecnico il gruppo si muove davvero molto bene, la voce di Tim Aymar è una garanzia di qualità, ma anche le prestazioni di Cris Black alla batteria, Matt Johnsen alla chitarra e di Chris Kerns al basso sono di ottima fattura.
Una bella sorpresa questo “The Longest Night”, un disco in cui il gruppo dimostra che è possibile rinnovare un genere come il classico Heavy Metal senza stravolgerlo, l’importante è avere delle buone idee, e su questo album di buone idee se ne trovano davvero parecchie, ma il fatto che lascia molto ben sperare per il futuro del gruppo è l’impressione che si ha alla fine del disco, cioè quello di avere tra le mani un ottimo prodotto di una band con ancora molto potenziale inespresso, e visto il livello decisamente alto della musica contenuta nell’album non si può che guardare al futuro dei Pharaoh con interesse.