Recensione: The Lord of Steel
Pochi gruppi sono in grado di accendere le discussioni come i Manowar. I quattro Kings of Metal sono in grado di catalizzare i sentimenti più estremi degli ascoltatori. Non ci sono mezze misure, o si amano o si odiano, spesso entrambe le cose in contemporanea. Dopo aver dato alla luce album che sono entrati nella storia dell’HM, sono riusciti ad iniziare il nuovo millennio sfornando un disco peggiore dell’altro; chiamatele sperimentazioni, chiamatele operazioni commerciali, c’è di sicuro che, ormai, DeMaio e soci sembrano più interessati a consolidare il loro marchio piuttosto che a impegnarsi nella realizzazione di un CD che valga la pena acquistare.
È possibile accostarsi al nuovo lavoro in maniera imparziale? Probabilmente no. Ammetto di aver avuto un piccolo brivido freddo lungo la schiena quando mi sono accostato a questo ennesimo concentrato di Vero Heavy Metal. Nonostante il mio amore per la band, leggere nomi scontati come The Lord of Steel o, peggio, Hail, Kill and Die, non mi ha lasciato decisamente ben sperare…Un libro non si giudica dalla copertina e un disco (o la sua controparte digitale) non si può recensire solo guardando un elenco. Prendiamo il coraggio a piene mani e prepariamoci a tutto!
La title-track si apre in maniera sicuramente inusuale, con un riff veloce che non trova molti riscontri nelle precedenti produzioni manowariane. Ci sono alcuni aspetti curiosi, tra cui il settaggio degli strumenti, che riverberano in maniera inconsueta, con i suoni che fuoriescono dal nostro impianto in maniera decisamente particolare. Sebbene non brilli certamente per originalità della costruzione o, men che meno, nei testi, riesce comunque a far partire con il giusto passo l’album. Proseguiamo l’ascolto e caliamoci nel classico brano che celebra i defender più devoti: Manowarriors. Molto simile al precedente per sonorità e intelaiatura, si libra frizzante e allegro. Se non vi disturbano dei testi fin troppo banali (e, se apprezzate i quattro non credo sarà questo il caso), troverete una traccia piacevole, che avrà un sicuro riscontro in sede live. Il terzo pezzo, Born in a grave, ha un’introduzione molto profonda e pulsante, che trova uno sviluppo cupo, con bassi palpitanti che martellano su tempo rallentato. Il risultato complessivo è orecchiabile, ma non lascerebbe una grande impressione se non fosse per lo strumentale mediano, che riesce a risollevare il quadro complessivo. Righteous Glory segna l’arrivo del momento melodico, con arpeggi puliti che accompagnano testi epici e crescendo vocalici che sottolineano i passaggi di maggior tensione. Fomentante, ma notevolmente ripetitiva, non riesce certamente a porsi nei nostri cuori come un nuovo inno da battaglia.
Touch the Sky riparte con slancio, una vetrina perfetta per esemplificare il nuovo suono che, evidentemente, la band sta tentando di sperimentare, con bassi riverberanti e alti taglienti. Piacevolmente ridondante, è un ottimo ponte per la successiva Black List, pesante ariete che si abbatte sulle nostre casse senza riguardo alcuno, una traccia che affonda le sue radici in “Warriors of the World”, riprendendone lo stile e costruendo un nuovo pezzo che picchia forte e con costanza. Niente di nuovo sotto il segno del Metallo, ma sono sette minuti piuttosto godibili. Riff massicci e orecchiabili per Expendable, brano carico di tracotante arroganza e di gioiosa voglia di spaccare la faccia al prossimo. Aggiungete un ritornello che entra in testa e non esce più e avrete un candidato ideale per l’esecuzione dal vivo, destinato ad entrare nelle prossime scalette della band. A metà strada tra i western all’italiana e Outlaw troviamo El Gringo, di cui avevamo già potuto ascoltare un’anteprima tempo fa. La versione definitiva non è affatto male; veloce e allegra, ha come neo la quasi completa mancanza di variazioni. Prendete lo stesso riff e reiteratelo all’infinito, aggiungete qualche breve solo, et voilà! Ci avviamo verso l’epilogo, quando arriva Annihilation. Il brano è descrivibile con un semplice aggettivo: tremendo. Non so cosa stessero pensando i Manowar quando hanno deciso di registrare questo pezzo monocorde e mono-accordo. Qualche luce proviene dalla chitarra di Logan, ma sono unicamente brevi scintille nel buio. Desolante. La conclusione giunge con una traccia che ha un titolo che può essere geniale o terrificante, a seconda di quanto vi sentite True: Hail, Kill and Die. Il risultato è spiazzante. Originale? Per carità! Divertente? Decisamente. Grazie ad un sommario di tutti i titoli dei dischi e dei brani del quartetto, otteniamo quello che può essere considerato un vero e proprio riassunto del Manowar-pensiero, Se vi siete persi cosa hanno detto i nostri eroi dal 1980 ad oggi, ascoltate pure questo Bignami del Vero Heavy Metal e potrete ritenervi edotti.
Termina così l’ascolto della versione digitale di The Lord of Steel. Dubito che, a settembre, quando il disco uscirà in formato fisico ci saranno differenze sostanziali per quanto riguarda i brani, pertanto, salvo controindicazioni, potete prendere per buona questa recensione anche per il CD. Cosa dire per fugare tutti i dubbi dei lettori? I Manowar sono tornati o, piuttosto, sono andati del tutto? In realtà, né una né l’altra cosa. Rispetto a quanto sentito negli ultimi dieci anni, questa ultima fatica del quartetto è un capolavoro. Rapportandolo all’intera produzione dei Re, raggiunge lo stesso la sufficienza. I brani, salvo alcune eccezioni, sono piuttosto piacevoli da ascoltare. Inoltre, pare evidente che, sebbene la cosa non venga sbandierata, siano state ricercate alcune soluzioni sonore alternative per rompere schemi fin troppo a lungo reiterati. Dopo la fallimentare sperimentazione di Gods of War, finalmente i risultati si vedono. Non aspettatevi variazioni eclatanti, ovviamente, ma apprezzate la volontà di scuotersi un po’ da parte di un gruppo che, ormai, sembrava condannato a promuovere unicamente un brand che spazia dalle magliette alle bandiere, passando per i preservativi.
I tempi d’oro sono andati, e questo si sapeva da tempo, ma almeno sappiamo che, sotto la cenere, cova ancora una fiamma in grado di erompere nuovamente e incenerire poser, araldi del Falso Metallo e compagnia bella. Se poi, questa energia non riuscirà a condensarsi in un nuovo album, ma erutterà unicamente dal vivo…beh, non ci resta che sperare che l’Italia riceva visite con cadenza meno rarefatta da parte di DeMaio e compagni!
Damiano “kewlar of steel” Fiamin
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Tracce:
1. The Lord of Steel 04:07
2. Manowarriors 04:46
3. Born in a Grave 05:47
4. Righteous Glory 06:10
5. Touch the Sky 03:49
6. Black List 06:58
7. Expendable 03:10
8. El Gringo 04:57
9. Annihilation 04:00
10. Hail, Kill and Die 03:56
Totale: 47:40
Formazione
Joey DeMaio – Basso, Tastiere
Eric Adams – Voce
Donnie Hamzik – Batteria
Karl Logan – Chitarra, Tastiere