Recensione: The Lunar Injection Kool Aid Eclipse Conspiracy
Robert Bartleh Cummings, meglio conosciuto come Rob Zombie, è un’artista d’altri tempi. Il look non lascia spazio a dubbi del resto e nonostante i cambiamenti per quel che concerne la chioma, un corpo ricoperto di tatuaggi e un abbigliamento in costante tenuta da palcoscenico, dal 1985 al 1998 è stato il fondatore dei White Zombie, per poi intraprendere una fortunata carriera solista con lo strepitoso debutto (del 1998, ndr) “Hellbilly Deluxe”, al quale negli anni sono seguiti altri 5 dischi, i quali hanno convissuto con l’altra grande passione di Rob, il cinema. Ovvio che le sue attenzioni si sarebbero rivolte al panorama horror, ma il tutto con un piglio personale in grado di rendere pellicole originali come “La Casa dei 1000 Corpi” (ed i suoi sequels), oppure il remake del classico “Halloween”, punti di riferimento in un genere che va a braccetto con l’heavy metal e con la singolare immagine del cantante.
Sono trascorsi cinque anni dal precedente “The Electric Warlock Acid Witch Satanic Orgy Celebration Dispenser” e Rob Zombie è pronto per un nuovo album in studio, sfruttando il periodo storico che rende impossibili le performance live e difficile il ruolo di regista. Intitolato “The Lunar Injection Kool Aid Eclipse Conspiracy”, il neonato lavoro non si discosta da quanto Rob abbia prodotto nel corso della sua carriera solista. C’è melodia, una sottile e macabra ironia che contraddistingue anche i brani veri e propri e gli intermezzi che rendono l’ascolto molto vicino ad una sorta di narrazione in perfetto stile carrozzone degli orrori. “The Triumph of King Freak (A Crypt of Preservation and Superstition)” è la canzone introduttiva, un mid-tempo che riepiloga al meglio il mood del disco, con chitarre che serrano i ranghi e una sezione ritmica sempre a disposizione di aperture e break in grado di accentuare l’ariosità di ritornelli che non faticano di certo a entrarti in testa. L’ascolto prosegue liscio come l’olio, tenuti sull’attenti da una buona dose di ispirazione che sembra non aver ancora abbandonato un artista poliedrico, merce ormai sempre più rara, soprattutto quando si cammina costantemente sulla sottile linea del mainstream.
1998 o 2021, quei 23 non sembrano affatto passati, ma ciò non significa che The Lunar Injection sappia di già sentito, ma piuttosto che resta fedele al proprio creatore (vedi la ritmata “Shadow of the Cemetery Man“). Ci sono episodi più volutamente scanzonati come “18th-Century Cannibals, Excitable Morlocks and a One-Way Ticket on the Ghost Train“, frenetici aumenti di bpm (“The Eternal Struggles of the Howling Man“), oppure oscure e atmosferiche digressioni (“Boom-Boom-Boom”). Il tutto viene saggiamente concluso con la grinta di “Crow Killer Blues”, confermando ancora una volta che la vena compositiva di Rob Zombie è viva e vegeta più che mai, a discapito degli anni trascorsi, degli impegni portati a termine e di un panorama sempre più difficile da convincere. Artisti come questo sono punti cardinali dell’hard & heavy, capaci di evolvere senza snaturare il proprio essere e mentre l’ultima traccia giunge alle sue ultime note, ho già tirato fuori “Hellbilly Deluxe” dallo scaffale, con la consapevolezza che stasera mi attenderà una maratona horror con un posto d’onore nella Casa del Diavolo.