Recensione: The Malediction Fields

Di Pier Tomasinsig - 29 Marzo 2009 - 0:00
The Malediction Fields
Band: Fen
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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77

Da diversi anni a questa parte la parola d’ordine più diffusa tra le nuove leve in ambito “black metal e suoi derivati” sembra essere “contaminazione”. Contaminazione con gli elementi più diversi, dal folk alla psichedelia, dal dark al progressive, passando per l’industrial fino a influenze fortemente eterodosse rispetto al metal quali ambient/elettronica e persino post-rock.

Se ai tempi di album innovativi e coraggiosi come Bergtatt e Hvis Lyset Tar Oss, giusto per citare due esempi universalmente noti, le sperimentazioni in chiave rispettivamente folk e dark/ambient erano ancora rare e per molti versi pionieristiche, a distanza di quindici anni e con molta acqua passata sotto i ponti la tendenza a contaminare il black metal con generi diversi è divenuta una pratica all’ordine del giorno. Al punto che oggi i gruppi che partono dal black per approdare, attraverso l’inserimento delle influenze più disparate, a lidi notevolmente distanti, praticamente non si contano. Questo per dire come nel 2009 sia del tutto naturale che simili “sperimentazioni” (le virgolette, per quanto appena esposto, sono d’obbligo) non possano di per sè sorprendere più di tanto; nel marasma di produzioni che, con alterne fortune, fanno dell’eclettismo la propria bandiera, il reale valore ormai sta, più che nelle scelte stilistiche di fondo, nella qualità e personalità che i gruppi sono concretamente in grado di dimostrare.

Qualità che nel caso dei Fen fortunatamente non manca. Il giovane combo albionico, già autore dell’interessante EP Ancient Sorrow (2007), giunge sotto l’egida della nostrana Code666 al traguardo del primo full-length ufficiale con questo The Malediction Fields. Un lavoro indubbiamente ambizioso, dove i nostri si cimentano in un riuscito connubio tra black metal, folk, ambient e dark, non disdegnando in taluni frangenti di strizzare l’occhio a sonorità molto vicine al post-rock; il tutto interpretato attraverso un’attitudine per certi versi persino progressiva.
Date queste premesse, non stupirà che le influenze riscontrabili in quest’album siano molteplici ed eterogenee, su tutte quella degli Agalloch, cui i Fen si rifanno con malcelata ammirazione, ma anche Opeth, Alcest e i nostrani Novembre, questi ultimi in particolare nei passaggi più caldi ed emozionali. E non è un caso che tutti i gruppi citati poco o nulla abbiano a che spartire con il black metal. A ben guardare la proposta musicale degli inglesi conserva del suddetto genere solo alcuni residui elementi, essenzialmente il cantato in scream e i passaggi più violenti e tirati, mentre la pluralità di ulteriori influenze si traduce in una massiccia presenza di arpeggi acustici, lunghi break atmosferici e melodie di chitarra che sovente mostrano maggiore affinità con certo rock psichedelico piuttosto che con il metal. Le tastiere, dal canto loro, tendono ad assumere un ruolo preminente, conferendo ai brani una marcata impronta ambient o andando a impreziosire il lavoro delle chitarre (sempre accattivante e improntato al buon gusto) con delicate suggestioni dark. Insomma, è di gran lunga la componente atmosferica a farla da padrone.

In effetti, quello che i Fen ci propongono è un viaggio intriso di raffinata tristezza attraverso scenari gotici e autunnali, permeati di un mood grigio e malinconico, ma al tempo stesso sognante, persino “spirituale”. Sette canzoni lunghe, varie, ben strutturate ed eseguite con indubbia perizia che faranno la gioia di tutti coloro che apprezzano il lato più melodico, intimo e introspettivo del black metal.

Eppure è presto per gridare al capolavoro, perchè The Malediction Fields sconta ancora la presenza di alcuni difetti, a partire dal cantato in clean, nel complesso abbastanza efficace ma a tratti stentato e sicuramente perfettibile, per arrivare ad una produzione di per sè anche sufficiente, ma troppo povera di personalità e di sfumature per quelle che sono -palesemante- le ambizioni dei Fen. Ma la pecca principale è probabilmente una certa prolissità di fondo, che va a scapito della fluidità e rende il coinvolgimento dell’ascoltatore altalenante: si avverte lo scarto tra momenti di grandissima intensità emotiva, persino brillanti, e altri in cui i nostri risultano meno ispirati, dilungandosi in manierismi; anche l’accostamento tra la componente melodica/atmosferica e quella estrema dà a volte l’impressione di non essere gestito in modo ottimale, rendendo certi passaggi un po’ farraginosi.

Resti inteso che siamo di fronte a un ottimo disco d’esordio. Alla fin fine si tratta solo di limare qualche asperità e magari conseguire una maggiore sintesi nel songwriting, onde evitare inutili dispersioni. La proposta dei Fen è ancora derivativa, ma mostra (per tornare alle considerazioni iniziali) qualità e personalità, nonchè, in certe soluzioni particolarmente riuscite, fantasia e una classe non comune. I margini di miglioramento ci sono tutti: se le premesse saranno rispettate, non dubito che sapranno affermarsi nel giro di pochi anni come una delle realtà più valide e interessanti della scena.

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Tracklist:

1. Exiles Journey 08:08
2. A Witness to the Passing of Aeons 07:07
3. Colossal Voids 08:32
4. As Buried Spirits Stir 06:58
5. The Warren 07:10
6. Lashed by Storm 08:54
7. Bereft 11:49

Line-up:

The Watcher – Guitar, Vocals, Keyboards
Grungyn – Bass
Draugluin – Keyboards
Theutus – Drums

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