Recensione: The Malefice
1985, Santiago del Cile.
Il cantante, bassista e chitarrista Anton Reisenegger e il chitarrista Juan Pablo Uribe, appassionati delle stelle del metal underground in cui Slayer, Venom e Kreator dettavano legge, danno vita ai Pentagram. Con l’inserimento del batterista dei Chronos, Eduardo Topelberg realizzano un primo demo (1987), seguito l’anno successivo dal secondo ribattezzato semplicemente “Demo II”, nel quale viene introdotto il bassista Alfredo Peña. E proprio dall’opener del secondo demo prende nome il loro debut-album “The Malefice”, a distanza di oltre venticinque anni. Già da queste registrazioni si evincono il riffing intricato e la struttura dei brani, messi insieme dall’energia prodotta dalla band. Proprio nel momento in cui ci si aspetta il salto di qualità, contrasti interni portano la band a sciogliersi nel 1988, per riunirsi tre anni dopo, in seguito al suicidio di Alfredo Peña, ma solo per qualche mese: il tempo di registrare il terzo demo “White Hell”. Da allora il nulla! Finalmente nel 2008 la compilation “Under The Spell Of The Pentagram” pubblicata dalla Cyclone Empire sancisce il ritorno sulle scene della band, che dal 2010 inizia a lavorare al primo attesissimo disco, oltre che ad esibirsi in Festival importanti (Wacken, Hell’s Pleasure) e facendo da supporto ai loro idoli giovanili: i Venom.
Durante le sedute di registrazione il batterista Topelberg viene allontanato dalla band e rimpiazzato da Juan Pablo Donoso, e a dare il segnale di cambiamento la band cambia il nome in quello attuale, che evita anche di confondere i fan con i loro omonimi. Dopo lo ‘split’ dello scorso luglio insieme ai Master di Paul Speckmann (“Imperial Anthems”), l’etichetta tedesca punta molto sulla band e sulla sua rinascita spirituale, ed ecco che il tanto atteso ‘primo disco’ dopo quasi trent’anni vede la luce. Registrato negli Sade Studio in Cile e negli HVR Studios in Inghilterra, “The Malefice” è improntato su uno stile nudo e crudo, figlio di ‘quello’ per cui i primordiali Pentagram erano nati, rispecchiando in pieno quelle che erano le premesse iniziali, ossia un sound ruvido che risalta le medio/basse frequenze, e per tanti tratti da accomunare ai primi lavori degli Slayer, sia come ritmiche messe in campo, che in particolar modo per la cadenza vocale e i registri usati da Reisenegger, influenzato da un Tom Araya di altri tempi.
Brani come “Pest King”, “Horror Vacui”, “Arachnoids” risentono fortemente della vocalità del leader, oltre all’intro di “Spontaneous Combustion” che evoca l’urlo storico di Angel Of Death in tutto e per tutto, come a voler rendere omaggio pubblico alla band che più di tutte ha dato un contributo essenziale allo sviluppo del thrash metal. Ma i Pentagram Chile non hanno aspettato quasi tre decenni per emulare gli Slayer! Infatti, se da un punto di vista vocale è chiaro il punto di partenza, tutto ciò che succede nelle retrovie è tutt’altra pasta. Perché le composizioni, dirette e schiette, sono intrise di elementi che rendono il discorso intrigante e ben assortito. In primis le ritmiche dispari che si amalgamano in maniera convincente nel discorso impostato dalla band: il 14/4 diviso 3+3+3+5 di “Prophetic Tremors”, così come l’apparentemente scontato 4/4 dell’opener “The Death Of Satan” diviso in una figurazione metrica 9+7, sono elementi che ampliano lo spettro globale della musica del quartetto cileno. A unirsi alla furia di Donoso – drumming old-school alla Reifert/Andersson ma sonorità affini al Dave Lombardo in “Show No Mercy” – è il riffing thrash/death metal dell’accoppiata Reisenegge/Uribe, che riesce a rendere vario il discorso per tutta la durata del disco. I vari momenti sono caratterizzati dall’alternarsi di sezioni veloci ad altre slow-time (“Prophetic Tremors” e “King Pest”), oltre a diversi momenti inaspettati, come il rullante in stile marziale di “Sacrophobia” e ai tanti momenti di ‘a solo’ in cui emerge la vena melodica dei due axe-man.
Un disco in cui ogni brano vive di vita propria, coerentemente col pensiero della band, che lascerà vivere buone sensazioni agli amanti della old-school, non solo in ambito death, ma anche thrash, perché i Pentagram Chile riescono a far pacificare in maniera intelligente questi due cattivi cugini, mettendo le proprie armi al servizio della musica, regalandoci un disco godibilissimo, suonato con passione ed energia.
Vittorio “versus” Sabelli
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