Recensione: The Manuscript

Di Alessandro Calvi - 17 Settembre 2013 - 9:00
The Manuscript
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Anno: 2013
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72

Negli ultimi anni i My Dying Bride sembrano aver conquistato una sorta di seconda giovinezza. Con due album interi e due EP negli ultimi 3 anni, dimostrano una vitalità e una verve creativa assolutamente invidiabile. Naturalmente il passo falso è sempre dietro l’angolo, ma il gruppo inglese ha un curriculum di tale inossidabile qualità dietro le spalle, da scoraggiare i dubbi fin sul nascere.

Che potesse esserci qualche perplessità su “The Manuscript” era del tutto lecito. Tre delle quattro tracce che lo compongono, infatti, derivano dalla sessione di registrazioni che ha dato vita a “A Map of All Failure”. Si tratta, dunque, di scarti. Scarti di un album di assoluto valore e capace di convincere appieno pubblico e critica, tanto da finire ben presto tra i preferiti dei fan e di conquistarsi un posto tra i dischi migliori del gruppo albionico, ma pur sempre scarti.
Fin dalle prime note della title-track, però, ogni ombra sul livello di questo EP viene spazzata via. Il songwriting dei My Dying Bride è come sempre vario e al contempo granitico. I riff colpiscono come martellate, eppure intessono un sottofondo malinconico ed ipnotico di atmosfere cupe e rarefatte. Le tastiere e il violino (soprattutto in un pezzo come “A Pale Shroud of Longing”, probabilmente il migliore del lotto) aggiungono profondità a quell’aura romantica e decadente che è il vero marchio di fabbrica della band inglese.
“The Manuscript”, in poche parole, è un EP che non aggiunge nulla alla produzione discografica dei My Dying Bride. Non ha guizzi di originalità, non presenta cambi di rotta o strane sperimentazioni. E’ un disco del gruppo in tutto e per tutto. E’ pure un CD composto da quelli che si può definire tranquillamente scarti. Eppure è un album di qualità, una qualità quale certi musicisti non riescono a infondere neanche nei loro pezzi migliori e più ispirati.
Quattro pezzi son pochi. Troppo pochi per lasciarsi del tutto ammaliare e conquistare dalla musica e dall’atmosfera creata. Troppo pochi per poter compiutamente valutare il lavoro svolto dal gruppo. Soprattutto troppo pochi per saziare la crisi d’astinenza dei fan di una band che sembra, davvero, non sbagliare nulla.

Per concludere “The Manuscript” è un EP che si rivolge principalmente ai fan del gruppo, ma che può essere apprezzato da chiunque. Non si tratta di un capitolo fondamentale della discografia degli inglesi per innovazione, originalità o per via di qualche svolta epocale nel loro sound. Eppure è un prodotto dotato di una qualità invidiabile, seppur fin troppo breve, che farà certamente felice chiunque deciderà di ascoltarlo.

Alex “Engash-Krul” Calvi

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