Recensione: The March
Ad un paio d’anni da III: In The Eyes Of Fire gli Unearth tentano nuovamente la via del metal-core più “melodic oriented” con questo The March. Prodotto dal guru Adam Dutkiewicz (Killswitch Engage) sotto l’egida della Metal Blade il dischetto in questione va senza dubbio dritto al sodo, palesando ulteriormente le caratteristiche che hanno reso grandi i cinque di Boston ma, inevitabilmente, sottolineandone anche i limiti. Basta schiacciare il tasto play per accorgersene. Se da un lato infatti la perizia tecnica delle due asce Ken Susi e Buz McGrath si riconferma tra le migliori in ambito metal-core grazie ad alcune trovate piuttosto brillanti e ad un ottimo gusto per gli assoli, la stessa cosa non può ahinoi essere detta per quanto riguarda l’effettiva originalità della proposta in esame. Una volta entrati nel mondo Unearth vi ritroverete dunque ad ascoltare per intero un disco che, sì, scorrerà via indolore per tutta la sua durata, ma che al tempo stesso lascerà poche e disordinate tracce del suo passaggio.
Certo, qualche episodio un pelo più ficcante degli altri lo troverete, come ad esempio l’ipnotica e incalzante title-track o il singolone My Will Be Done , che in sede live farà sicuramente faville, o ancora la hard-rock-core (??) The Chosen, a parer di chi scrive un tentativo riuscito solo a metà di scimmiottare i ben più ispirati Every Time I Die. Ma escludendo i sopra citati pezzi e una comunque discreta Crow Killer più alcune buone trovate sparse qua e là (vedi assoli con base in breakdown… Chi ha detto All Shall Perish?) il resto dell’album naviga imperterrito nell’anonimato, barcamenandosi tra melodie che piacciono sul momento ma non si stampano nel cervello e refrain a volte davvero poco azzeccati.
Se poi vogliamo andare più a fondo nell’analisi dell’album risulta impossibile non evidenziare una prestazione vocale di Trevor Phipps molto spesso altalenante, non sempre convincente, a volte quasi fuori contesto nel suo incedere più hardcore che metal (difetto questo già piuttosto evidente anche nel precedente platter). E’peraltro vero che l’Unearth-sound ha sempre presentato questa caratteristica a livello vocale, ma la cattiveria del buon Trevor sembra scemata rispetto ai passati lavori, e chi si ricorda la terremotante The Great Dividers, giusto per citare un esempio concreto in tal senso, sa senza dubbio cosa intendo.
Oggettivamente ineccepibile, come già sottolineato in precedenza, è il lavoro delle chitarre, sempre molto attente al comparto tecnico d’effetto e davvero incisive soprattutto negli assoli. Forse ad un ascolto più attento si potranno notare nel riffing alcune derive più marcatamente thrash, in parte accostabili alle ultime cose fatte dai Trivium, come ad esempio il riff portante di Hail The Shrine, ma questo non va ad intaccare lo stile dei due axeman di Boston, comunque molto riconoscibile e convincente nel suo incedere, grazie anche ad un uso ponderato di quei breakdown che molto spesso avevano rischiato di saturare l’osannato III: In The Eyes Of Fire.
Non molto da dire invece sulla base ritmica di basso e batteria che si rivela nella norma, con partiture mai pirotecniche ma comunque adeguate alla proposta e patterns abbastanza lineari che ricordano un pò l’impronta degli Heaven Shall Burn meno pesanti.
Sia ben chiaro, di sicuro The March piacerà alla follia a chi ha amato i precedenti platter del gruppo di Boston (in particolare il gioiello The Oncoming Storm), rivelandosi comunque una spanna sopra lo standard del genere e riconfermando gli Unearth come uno degli acts più ispirati del movimento metal-core. Però é doveroso sottolineare come la nuova release non aggiunga nulla a ciò che già si è sentito e, anzi, in certi casi risulti contagiata da processi tendenzialmente involutivi. Insomma nulla di nuovo sotto il sole e forse qualcosa di meno rispetto al solito. Ciò non toglie che un ascolto sia comuque consigliato, il platter scorre via fluido e senza intoppi se colto nella sua integrità da un orecchio disimpegnato. Se però negli Unearth cercate più sostanza suggerisco The Oncoming Storm, a tutt’oggi ancora la loro opera più compiuta ed ispirata.
Mattia Gatti
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Tracklist:
1.My Will Be Done” – 3:37
2.”Hail the Shrine” – 3:58
3.”Crow Killer” – 3:17
4.”Grave of Opportunity” – 3:53
5.”We Are Not Anonymous” – 3:04
6.”The March” – 3:29
7.”Cutman” – 3:12
8.”The Chosen” – 3:53
9.”Letting Go” – 4:43
10.”Truth or Consequence” – 4:10
11.”Silence Caught The Stubborn Tongue” – 10:15 (Bonus Track)