Recensione: The Marriage of Heaven and Hell I & II [Reissue]
Doppia reissue digipak a tre ante apribili in cartonato da parte della teutonica Spv a favore di due capolavori dell’Acciaio fatto musica ascrivibili alla band americana Virgin Steele. The Marriage of Heaven and Hell parte I e parte II convivono per la prima volta ufficialmente all’interno dello stessa confezione, nonostante non siano passati secoli dalle stesse ristampe (singole) operate dalla label Dockyard 1, nel 2008.
Un solo corpo e una sola anima, finalmente, come era nelle intenzioni di David DeFeis, leader indiscusso del combo newyorkese, a Suo tempo, quando correva l’anno 1994. Percorso poi non ritenuto praticabile dalle etichette di allora, Noise e T&T che ne decretarono il rilascio in tempi diversi.
Marriage I&II marchiato Spv si completa di un booklet di ben ventiquattro pagine con tutti i testi, varie foto del gruppo in posa e dal vivo e la genesi dei due album con commenti elargiti anche a vari pezzi. A livello di bonus track la parte I si completa di due canzoni nuove di zecca (Angela’s Castle e The Sword of Damocles) mentre la parte II contiene la versioni live di Life Among the Ruins e I Wake up Screaming.
Qui di seguito, per buona parte, le recensioni dei due “Marriage” così come pubblicate su questi stessi schermi nel novembre del 2008, periodo Dockyard 1, con qualche inevitabile aggiustamento legato all’uscita Spv 2014.
Introduzione
Dopo aver rilasciato un disco che tornava alle origini delle proprie radici musicali come Life Among The Ruins, i due mastermind dei Virgin Steele David DeFeis ed Edward Pursino si guardarono profondamente negli occhi e decisero di scrivere un album in grado di catturare la furia e la maestà metallica della Loro band. Da quel momento scaturirono decine di canzoni, una più bella dell’altra. The Marriage of Heaven and Hell doveva essere un disco solo – in alcuni stati dell’Est Europa uscì appunto in versione singola – ma le solite esigenze di business dell’etichetta imposero di spezzarlo in due tranche: part 1 e part 2.
The Marriage of Heaven and Hell Part I
I Will Come For You lascia presagire quanto questo disco riuscirà sempre e comunque a stupire resistendo al moto perpetuo dello scorrere del tempo: David canta epico come se fosse appena uscito dal Valhalla per un viaggetto sul pianeta terra e il pathos fornito dalla chitarra di Pursino non lascia scampo a un certo tipo di HM mordi e fuggi, in voga allora come oggi. Il basso dello stesso Edward pompa quanto basta e il martello di Zeus in mano a Joey Ayvazian non lascia prigionieri. Peccato che il suono della batteria sia a mo’ di pentolaccia, penalizzato da una produzione a basso budget. Va onestamente sottolineato che in questa versione remaster da parte della Spv le cose sono leggermente migliorate, per fortuna. La classe dei Virgin Steele pervade alla grande il brano successivo, Weeping of the Spirits: dolcissima nel flavour ed eroica nel Dna.
Blood And Gasoline la considero una delle più imponenti song scritte dal combo newyorkese: gode di un incedere maestoso e solenne che esplode nel bridge portante, roba da pelle d’oca. Una chitarra lontana apre Self Crucifixion, altro pezzo che rappresenta un tassello imprescindibile nel cammino verso l’olimpo metallico. Last Supper mostra i muscoli soprattutto nel cantato, fra un riffone e l’altro. La classe di DeFeis alle tastiere si estrinseca nella strumentale Warrior’s Lament, che a sua volta lascia il posto all’ariosa Trail of Tears, brano dove Joey Ayvazian fa il bello e il cattivo tempo, insieme a un David mai così vicino a Odino. Da orgasmo la parte di chitarra acustica intorno al terzo minuto insieme con il duetto fra il singer ed Edward a fine canzone.
La velocità si fa più sostenuta in The Raven Song, il classico pezzo di HM solido senza particolari fronzoli ma con tanta tanta sostanza. Un Pursino celestiale, nella seguente Forever Will I Roam, consegna alla storia dell’heavy metal un’altra perla, no more words… Un’ascia che va e che viene, appena dopo incalzata dai martelli Pursino/Ayvazian libera al cielo l’ugola di un fuoriclasse autentico dietro al microfono che risponde la nome di David DeFeis, all’interno dell’incedere di un brano ammaliante in piena tradizione Virgin Steele. Solo di Pursino micidiale a ¾ della durata.
La sensuale House of Dust è semplicemente sublime nella sua drammaticità, lasciando senza fiato mentre Blood of the Saints è un attacco di HM Epico in piena regola. Insieme alla precedente Blood And Gasoline Life Among the Ruins rappresenta la summa della immaginifica tracotanza metallica dei Virgin Steele: un capolavoro di songwriting eroico e interpretazione. Thor – non il biondone canadese, neh? – andrebbe senza dubbio fiero di questo capolavoro immortale. La strumentale The Marriage of Heaven and Hell chiude la parte “ufficiale” del disco, nell’occasione foriero di due bonus track. La prima, Angela’s Castle, serve solamente a tirare la volata alla seconda : trattasi infatti di strumentale di chitarra. The Sword of Damocles, pezzo dal titolone in grado di suscitare antichi pruriti epici, si risolve in un episodio dall’andamento anomalo, a mo’ di mid tempo, con il suono delle chitarre molto pesante, se paragonato al passato degli Steeler. DeFeis svolge il suo compito puntando sulla profondità espressiva, con la classe infinita che lo contraddistingue, lungi dal ruggire, però. Che sia scelta artistica o necessità solo il tempo lo potrà determinare, ai posteri l’ardua sentenza. Da rimarcare i suoni molto migliori rispetto ai pezzi precedenti… e ci mancherebbe pure!
Marriage Part I è un evergreen che fa parte della leggenda HM, un album senza né tempo né spazio, immenso nella propria possanza d’acciaio, che sa essere duro, ammaliante e tenerissimo, da tenere in serbo per i nipotini fra qualche anno.
The Marriage of Heaven and Hell Part II
Avvertenza per tutti i defender: segue la recensione di uno dei più formidabili heavy metal album di tutti i tempi, al di là delle facili classificazioni da Mailorder che appiccicano un’etichetta a qualsiasi cosa emetta un suono. The Marriage of Heaven and Hell Part II riesce a sovrastare il validissimo predecessore Part I e rappresenta l’album del raggiungimento della piena maturità artistica dei Virgin Steele. In questo lavoro David DeFeis riesce a esprimere, grazie anche a una dignitosa produzione, tutto il Suo pathos, la Sua aggressività e potenza, ottenendo il meritato posto nel gotha HM degli screamer, tra i fuoriclasse di sempre.
La prima traccia è A Symphony of Steele, ovvero un classico che da questo momento comparirà quasi sempre nelle Loro esibizioni on stage. Consta di un crescendo spropositato e di una ritmica manowariana azzeccatissima, l’ugola di DeFeis meglio non poteva iniziare, lasciando presagire all’ascoltatore di che pasta sia fatto questo disco. Crown Of Glory è un altro esempio di maestosità musicale che però non risulta mai stucchevole o fine a se stessa: il filo conduttore di questo pezzo dimostra come ormai DeFeis e i suoi pard sappiano scrivere delle canzoni senza confini di tempo e spazio, dove la voce di David attraversa fieramente tutto lo spettro canoro a propria disposizione.
La successiva From Chaos To Creation è il perfetto preludio strumentale alla seguente Twilight of the Gods, che parte cadenzata per poi esplodere in un uragano HM nel quale la furia tellurica della batteria duella alla pari con la voce di David. E’ una song che incarna una epicissima sognante narrazione, terreno ideale per la rappresentazione sublime di una sezione ritmica che viaggia su binari di assoluta onnipotenza. Rising Unchained: in questo pezzo migliaia di tonalità si immergono per poi risalire nell’ideale oceano sonoro che si presenta nell’immaginario dell’ascoltatore che con questa melodia, dopo avere chiuso la parentesi della bieca quotidianità, immerso nella penombra della propria stanza con indossate le cuffie, si addentra in universi magici e inesplorati.
La seguente Transfiguration si può inquadrare come una ballad di tutto rispetto che si mantiene sempre a livelli altissimi e maestosi dove una volta di più la versatilità vocale di DeFeis la fa da padrona. Prometheus The Fallen One è un altro cavallo di battaglia marchiato a fuoco Virgin Steele: traccia evocativa, atmosfere trasognanti che si allontanano per ritornare prepotenti sugli auricolari di chi ne sta godendo. Un’altra gemma di valore immenso all’interno di questo album. Emalaith, a dire dello stesso DeFeis nelle interviste successive rilasciate fuori terra italica, risulta l’episodio più sofferto dal gruppo nella Sua costruzione. E meno male, viene da dire, visto il risultato! Qui la parte sinfonica si innalza nei meandri più lontani del perfezionismo fatto musica, il singer dal canto Suo modula la propria voce in maniera straordinaria, consegnando l’ulteriore perla di inestimabile valore.
Strawgirl è stato amore al primo ascolto, probabilmente il pezzo che ho sempre considerato il “singolo” da sentire quando si ha poco tempo a disposizione o si è in crisi di astinenza da HM. In poche parole la classica song che rappresenta il flavour di un intero disco. Si tratta di una mirabile ballata di classe, ove il vocalist riesce, anche in questo caso, a consegnare un valore aggiunto pesantissimo all’atmosfera del brano: virtù delegata solo ai grandi dietro il microfono. Segue Devil/Angel, che si apre furiosa con gli scream schiacciasassi di David ed è accompagnata da una sezione ritmica Pursino/Ayvazian – Edward si è occupato di tutte la parti di basso del disco – da headbanging puro, sublime connubio fra violenza cieca e classe. Unholy Water, dopo un breve intro, parte con la chitarra di Edward Pursino in bella evidenza e si materializza in un’altra grande composizione per interpretazione ed intensità. Victory is Mine è la degna conclusione del disco, come lascia intendere il titolo: David&Virgin Steele, la vittoria è indiscutibilmente vostra! La finale The Marriage Of Heaven & Hell Revisited è il pezzo acustico messo per chiudere pomposamente la saga dei “Marriage” e così riallacciarsi idealmente alla Parte I.
La ristampa della Spv, a mo’ di bonus track, contiene, come per la precedente operata dalla Dockyard 1, la versione live di altri due cavalli di battaglia del combo newyorchese: Life Among The Ruins e I Wake up Screaming. Entrambi godono di una registrazione proponibile, assolutamente non comunque all’altezza di un eventuale disco live dei Virgin Steele futuro, quantomeno questa è la speranza.
In conclusione all’interno di 66 minuti abbondanti di barbarico romanticismo – escludendo le ultime due tracce dal vivo – c’è tutto: Epic, Classic, Sinfonico, cori, cavalcate metalliche, melodia, tastiere ben dosate e mai invadenti. Questo lavoro rimane il migliore in assoluto scritto dal combo americano tutt’oggi e probabilmente fotografa il momento più fulgido di vita artistica della band. I Virgin Steele di questo periodo rimangono un ricordo indelebile nella mia memoria ed è così che amo ricordarli per sempre.
Non fare il modesto David: qui non si tratta di Marriage of Heaven and Hell, ma di un maestoso matrimonio fra acciaio e abilità nello scrivere pezzi immortali e inarrivabili per altri…
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Discutine sul forum nella sezione dedicata!