Recensione: The Masquerade

Di Alberto Fittarelli - 18 Gennaio 2006 - 0:00
The Masquerade
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Genere:
Anno: 2005
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78

E chi se lo aspettava che la Norvegia avesse da insegnare anche in campo
melodic death? I Chain Collector provengono proprio dalla terra dei
fiordi, nota per ben altre – ormai lontane – gesta in ambiti che di death non
avevano molto, se non la formazione: e la loro label li presenta come “i
primi norvegesi a seguire il filone creato dagli At The Gates”.

La realtà è molto più sfaccettata, fortunatamente, o saremmo qui a parlare
dell’ennesimo clone voglioso di fotocopiare Slaughter Of The Soul condendolo
dell’attitudine adolescente-finto-incazzato-col-mondo che troppo spesso si vede,
di questi tempi. I Chain Collector di adolescenziale non hanno però
proprio nulla: sono infatti un progetto di Gøran Bomann e Anders Kobro dei
Carpathian Forest (ed era oggettivamente inverosimile che non fosse quello
l’humus di base della band) e vedono la presenza di due cantanti, Svenn Aksel Henriksen
degli Apostasy alle screamings e Kjetil Nordhus, celebrato giustamente per le
capacità mostrate con i Green Carnation.

La sostanza del gruppo si può sì riassumere con “death melodico”,
ma non solo con questa definizione, ormai stantia: la loro proposta è infatti
un sapiente mix di elementi heavy, progressivi, gothic su una solidissima base
death/thrash; il fatto che i musicisti siano ormai rodati si sente in ogni
singolo passaggio e arrangiamento, dando spessore al tutto. Parti addirittura
avantgarde si sentono qua e là, insieme a tratti atmosferici come nella
cupissima Crucifixion: ma su tutto aleggia un’atmosfera indefinibile,
impalpabile, che i norvegesi sembra non riescano proprio ad evitare nelle
proprie composizioni. È così che l’alternanza tra Henriksen e Nordhus, tra
strofa e chorus, risulta molto più sensata di quanto il canone sembra
insegnarci. Non siamo ai ritornelli semi-pop di alcuni grossi nomi dalla musica
di plastica, ma all’espressione autentica di una sensibilità musicale che non
è ancora business puro, e che come tale va supportata e riscoperta.

Non inventano nulla, i Chain Collector: ma svolgono con classe il
compito, portandoci in casa un paio di idee azzeccate a canzone, insegnandoci
come si possa suonare un genere abusato senza risultare altrettanto abusati. Nel
ritornello melodico di Neverwhere, nel riff svedese – questo sì – e nel
chorus epico di Fallen Angel ci sono un’esperienza più che decennale,
un’ispirazione indomita e tanta voglia di dire la propria nel discorso di
altri. 
Cercateli e date loro una possibilità, pur tenendo a mente i limiti di uno
stile che, si sa, premia i nomi a scapito spesso della qualità: i Chain
Collector
si sono sicuramente divertiti nel registrare questo album, ora sta
a voi divertirvi altrettanto nell’ascoltarlo.

Come non lasciarsi poi sfuggire un ghigno davanti a una copertina che – con
lo spirito iconoclasta tipico nuovamente del black metal – vede un Ratzinger
ridotto a mera “mascherata” per il vero male in terra?

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Hierarchy of Murder (Code of Silence) 
2. Harvester
3. Neverwhere
4. And Then There Was None 
5. Crucifixion 
6. Project Savior 
7. Tapping The Vein 
8. Fallen Angel 
9. Wicked Mask 
10. Winter Princess

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78