Recensione: The Mercian Sphere
“The Fields Of Reckoning”.
Chiudete gli occhi e immaginate di trovarvi in una delle parti più desolate della tundra siberiana. Echi di battaglie lontane, inghiottite dalla nebbia del tempo, flebili come refoli di gelido vento, fanno vibrare, ancora, l’immobile atmosfera. L’energia residua perturba il cervello, ingannandolo nel fargli sentire il cozzo delle armi bianche, le urla di battaglia, il lamento dei feriti, l’ultimo respiro dei morti.
Questa visionaria sensazione, ammantata da un commovente lirismo, è quella che riescono a generare, con la loro musica, gli inglesi Winterfylleth. L’eccellente esordio con il demo “Rising Of The Winter Full Moon”, tre anni fa, ha loro consentito, nel 2008, di dare alle stampe “The Ghost of Heritage”, primo album di lunga durata e, quindi, “The Mercian Sphere”, da poco sul mercato internazionale grazie alla connazionale Candlelight Records.
Il quartetto macina senza sosta un violento black metal prettamente tradizionale, macchiato ben bene con alti dosaggi di viking e folk, tali da renderne ardua la corretta classificazione in canali predefiniti. Black metal che fonda le sue radici nell’ortodossia sino ad arrivare ai Bathory di transizione, cioè quelli ancora in bilico fra l’anticristianesimo e il paganesimo (“Gateway To The Dark Peak/The Solitary One Waits For Grace (The Wayfarer Pt.I)”). Asce da guerra distorte in maniera (volutamente) confusa, suonate a corda libera (poco o niente rimane al palm muting …); batteria a tappeto, assestata su poderosi mid-tempo o furibondi blast beats; linee di basso profonde e tonanti nella loro frenetica rotazione. In questi frangenti (“Awakens He, Bereft Of Kinsmen (The Wayfarer Pt.II)”), lo scream feroce del fiero condottiero, Chris Naughton, spinge la musica come un’orda di vichinghi all’ultimo assalto; la cui furia devastatrice non conosce alleati né prigionieri, Un’onda di marea nera che sommerge tutto e tutti (“The Ruin”).
Dopo aver vinto una battaglia, gli Eroi si riposano; quindi, come improvvise aperture nella scura nuvolaglia che copre il cielo, fa capolino la luna d’Ottobre, annunciando l’arrivo dell’inverno (“Winterfylleth”, cioè “Winter Full Moon”, nell’Old English Anglo-Saxon). La melodia prende a braccetto, sempre, tutte le canzoni. Melodia che proviene dalla tradizione popolare: semplice, verace e mai ampollosa (“Children Of The Stones”, “When The Woods Were Young”).
Arrivato l’inverno, riparte la battaglia: treni d’onda dall’interminabile lunghezza, ipnotici nel loro rapido incedere, coprono la scarsa vegetazione della tundra, portando prima la morte, poi la vita. Epigona di queste visioni pagane è, senza dubbio, “The Honour Of Good Men On The Path To Eternal Glory”, clamorosa suite che contiene tutto ciò che la Leggenda del Nord esige: furia scatenata, cori incommensurabili, dolci melodie arpeggiate, fermate e riprese dell’andatura. Il tutto, avvolto nella magia dell’illusione di vivere istanti appartenenti a un irripetibile, remoto passato. Le gloriose gesta dei Nostri non perdono mai forza muscolare: “To Find Solace … Where Security Stands (The Wayfarer Pt.III)”, altra suite elaborata e intrisa di lirismo, è pregna di trance ipnotica, del tipo di quella che si prova durante le vertigini da déjà vu. Le imprese dei guerrieri del Nord si materializzano nella nostra anima, regalandole l’indicibile sensazione di rivivere epoche e istanti da epopea. Il commovente incipit di “A Valley Thick With Oaks”, dettato da striduli e struggenti accordi di chitarra, offre un mood particolarmente malinconico e triste (altra peculiarità del platter): dopo la battaglia i superstiti rientrano, mesti, al campo. Il rapidissimo break centrale della canzone raggiunge vette d’inarrivabile commozione: forse, solo Quorthon e i Moonsörrow sono riusciti a smuovere con così tanta forza emotiva gli ignoti moti dell’anima. Song incredibile, suggellata alla fine da un coro che trasporta il nostro fisico, assieme allo spirito, verso i caratteri recessivi dei nostri avi; la cui esistenza era possibile solo mediante l’assimilazione con la Natura. Dopo un’apnea mistica del genere, “Defending The Realm” parrebbe dare fiato con l’iniziale down-tempo, ma è solo un attimo. L’inumana aggressività del vocalist, accelerata dalla terribile macchina ritmica del combo di Manchester, conduce nuovamente e definitivamente le orde barbariche verso il proprio, immutabile destino.
Nonostante il genere sia stato oggetto d’infinite rivisitazioni, i Winterfylleth riescono nella formidabile impresa di comporre un full-length di brani uno più grande dell’altro per qualità artistica, consistenza tecnica e classe sopraffina. La produzione, rozza e caotica, genera e poi accentua la sensazione primordiale con la quale si deve affrontare “The Mercian Sphere”, spettacolare simbiosi fra impetuosità e profonda intimità. Cui non manca la ciliegina sulla torta: la canzone/capolavoro “A Valley Thick With Oaks”.
Imperdibile.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Gateway To The Dark Peak/The Solitary One Waits For Grace (The Wayfarer Pt.I) 7:06
2. Awakens He, Bereft Of Kinsmen (The Wayfarer Pt.II) 7:26
3. The Fields Of Reckoning 5:33
4. Children Of The Stones 4:46
5. The Ruin 6:52
6. The Honour Of Good Men On The Path To Eternal Glory 10:17
7. To Find Solace … Where Security Stands (The Wayfarer Pt.III) 10:11
8. When The Woods Were Young 2:24
9. A Valley Thick With Oaks 7:23
10. Defending The Realm 6:31
Line-up:
Chris Naughton – Guitar, Vocals
Mark Wood – Guitar
N. Wallwork – Bass, Vocals
Simon Lucas – Drums, Vocals