Recensione: The Metal Opera Pt. I
(recensione modificata il 26-06-2006)
“Tobias Sammet’s Avantasia, the Metal Opera”, questo il nome altisonante scelto dal vero e proprio deus-ex-machina degli Edguy per il suo progetto solista. Che fosse pieno di risorse, questo ragazzo lo aveva già dimostrato da tempo con il successo del gruppo di cui è frontman. Sapere però che è stato capace di scrivere questo album nelle poche pause dell’ultimo tour, probabilmente aggiunge maggiore spessore a un musicista da molti considerato geniale.
Torniamo a concentrarci sul disco: Tobias per il suo esordio solista sceglie la formula del concept album. La storia che si snoda tra le 13 tracce del cd trae ispirazione, ambientazione e personaggi dall’inquisizione medievale. Proprio i personaggi della storia, tantissimi, sono uno dei punti di forza di questo lavoro, ognuno di essi è infatti impersonificato da un artista diverso che presta la sua voce alla narrazione della vicenda. La pletora di ospiti è quindi estremamente varia e sempre di altissimo livello, da Andrè Matos a David DeFeis, da Kai Hansen a Sharon Den Adel, da Rob Rock a Oliver Hartman, dallo stesso Sammet a un certo Ernie che interpreta la parte di Lugaid Vandroiy, che altri non è se non Michael Kiske, in una delle sue ultime e rarissime partecipazioni a progetti legati al metal. Se a tutti questi nomi illustri uniamo quelli dei musicisti con cui Tobias si è circondato, cioè Henjo Richter alla chitarra, Markus Grosskopft al basso e Alex Holzwart alla batteria, quello che ci troviamo di fronte è forse il disco “must” per eccellenza di ogni fanatico del power.
Come molti album di power melodico, anche questo “Avantasia, the Metal Opera”, si apre con una intro strumentale che va poi a sfumare nella prima vera canzone del disco, cioè “Reach Out for the Light”. L’inizio è subito accattivante e questa prima song presenta già in embrione gran parte degli elementi che ritroveremo per tutto il disco: riff tesi, batteria sempre velocissima, cori, passaggi sinfonici e orchestrali e soprattutto un ritornello estremamente melodico che, anche grazie alla voce straordinaria di Kiske, ti si pianta subito in testa e dopo due ascolti sei già lì a canticchiarlo tra te e te.
La successiva “Serpents in Paradise”, cambia leggermente stile e a un primo ascolto risulta a tratti quasi noiosa. In realtà sul finale, grazie all’inserimento della voce di David DeFeis, mostra un’altra delle qualità di questo album. Quando Tobias ha composto queste canzoni, infatti, non si è limitato a scriverle e poi ha chiamato questo o quell’altro cantante a seconda della loro disponibilità. Al contrario ha modellato gli interventi dei vari personaggi proprio sulla voce di chi poi li avrebbe dovuti interpretare. Così per esempio su questa “Serpents in Paradise”, la voce di DeFeis si trova perfettamente a suo agio, in un contesto che ricalca molto da vicino lo stile di songwriting dei Virgin Steele.
“Malleus Maleficarum”, come alcune altre tracce del cd, è solo un interludio: brano piuttosto oscuro e tetro, serve come introduzione a “Breaking Away”. La quinta song è, tra tutte, forse quella che risente maggiormente dell’ “effetto Edguy”, dato che Tobias compone la quasi totalità delle canzoni del gruppo finlandese e ha scritto interamente da solo questo “Avantasia”, non meraviglia che in alcuni punti lo stile possa essere estremamente simile. Per fortuna non si tratta di un peccato, al contrario “Breaking Away” è uno dei brani più veloci, potenti e ascoltabili di questa compilation.
Ogni disco power che si rispetti deve presentare una ballad, in questo caso Tobias sembra aver voluto fare le cose in grande dato che ce ne sono ben due, la prima è “Farewell”, brano estremamente dolce, aperto dai flauti e nel quale a rendere ancora più melodico il tutto, concorre anche la voce bellissima di Sharon Del Adel.
Subito dopo troviamo “Glory of Rome” e qui si torna a pestare sull’acceleratore con un inizio veramente al fulmicotone, per non parlare poi dell’epico ritornello a base di cori. Le chitarre sembrano darsi battaglia intrecciandosi tra loro, quasi a voler dimostrare chi sia il migliore tra lo stesso Sammet e Richter, in effetti Tobias deve essersi divertito molto a comporre questo pezzo, che è forse uno dei più elaborati del cd.
Altro stacco strumentale è “In Nomine Patris” e serve solo a spianare il terreno per la titletrack, vera e propria canzone simbolo del disco. Un mid-tempo molto veloce e orecchiabile, la classica canzone che ricordi istantaneamente: trascinante, potente, ma al contempo melodica. Ma anche la classica canzone che ti pare di aver capito subito al primo ascolto e che invece a ogni passaggio nel lettore cd sa regalarti qualcosa di nuovo, mostrandoti nuovi lati del proprio essere di cui non sospettavi neanche lontanamente l’esistenza.
La decima “A New Dimension” è l’ennesima traccia strumentale di raccordo verso la successiva “Inside”. In effetti questi brani strumentali sono necessari per unire il tutto in un fluire unico e continuo, ma al contempo a mio avviso abbassano anche un po’ il “ritmo” del disco e sono forse l’unica pecca che io riesca a trovare in questo cd.
Come si diceva prima son due le ballad presenti in tracklist: la prima era “Farewell” delegata a Sharon Del Adel, la seconda è questa “Inside”, in cui, sopra al dolcissimo tappeto sonoro intessuto dal pianoforte, spicca la voce di Andrè Matos.
Ci avviamo alla conclusione e così, proprio prima della fine, troviamo “Sign of the Cross”, canzone molto elaborata, giocata sui continui cambi di tempo e indubbiamente una delle mie preferite. Gusti sfalsati anche dal fatto che, come si diceva all’inizio, Tobias ha inserito in questa canzone degli elementi caratteristici del songwriting del gruppo in cui canta normalmente il singer che vi si esibisce, quindi se il suo nome è Kai Hansen, necessariamente troviamo più di un passaggio che ricordi i GammaRay.
A chiudere più che degnamente questo album estremamente interessante, troviamo “The Tower”, lunga ouverture di oltre 9 minuti in cui compaiono praticamente tutti gli ospiti coinvolti. Addirittura fa la sua comparsa anche Timo Tolkki, ma non per suonare, semplicemente per recitare un brano. Chiusura con il botto dunque, ma non è un addio, solo un arrivederci, la storia non è finita e continua nel successivo “Avantasia, The Metal Opera part. II”.
Per concludere, si tratta di un album certamente molto variegato che ci offre alcune splendide canzoni senza risultare mai noioso, grazie anche ai grandiosi interpreti di cui è letteralmente infarcito. Probabilmente mai così tanti cantanti e di così alta qualità su un unico disco. Ognuno di essi poi è un punto di forza che si va a innestare su un lavoro musicale già di per se una spanna sopra alla media. In pratica un “must” nel suo genere, che in breve tempo è già diventato un classico.
Tracklist:
01 Prelude
02 Reach Out for the Light
03 Serpents in Paradise
04 Malleus Maleficarum
05 Breaking Away
06 Farewell
07 The Glory of Rome
08 In Nomine Patris
09 Avantasia
10 A New Dimension
11 Inside
12 Sign of the Cross
13 The Tower
Alex “Engash-Krul” Calvi