Recensione: The miracle
“Il miracolo” del gruppo britannico dei Queen è senz’altro uno dei lavori migliori degli anni ’80, dopo un uso errato e pesante dell’elettronica, che è stato migliorato con l’album “A kind of magic” (ottimo) e che ha un suo valore artistico in “The miracle”. Quante ottime canzoni dei Queen sono state penalizzate da arrangiamenti elettronici alquanto discutibili? Secondo me sono veramente tante (sempre parlando del periodo ottantiano della band): da “Radio ga ga” a “I want to break free”, da “Hammer to fall” a “Las palabras de amor”, tutte canzoni molto belle, veri e propri inni, che però acquisteranno più freschezza nel repertorio dal vivo. In “The miracle”, sulle orme degli errori precedenti, ciò non accade, l’elettronica è utilizzata in maniera equilibrata e quasi mai fuori luogo. Dal manager del gruppo Jim Beach questo disco è stato definito, alla sua uscita, come “una sorta di greatest hits, solo che nessun brano è una hit, non ancora perlomeno”. Tutte le canzoni dell’album sono accreditate al gruppo, anzichè al singolo componente, ed è la prima volta che accade in un loro lavoro, ciò serve a far comprendere una nuova unione all’interno del quartetto, anche per appoggiare un malato Freddie che vuole portare assolutamente a termine i suoi progetti, ma questo si noterà in maniera maggiore nell’ottimo album “Innuendo”, di cui questo è un precursore. Anche la copertina sottolinea la coesione della band: ci sono rappresentati i volti dei quattro musicisti messi in sequenza su un solo collo, formando un volto unico; per me è la copertina esteticamente e simbologicamente più bella del gruppo. Passando dal generale al particolare, i primi due brani dell’album (“Party” e “Khashoggi’s sheep”) sono praticamente incisi in presa diretta e sorprendono per la loro durezza ed immediatezza sonora; entrambi trattano ironicamente la vita sregolata della rock star tra un eccesso ed un altro, tra una festa e un’altra. La prima delle due è una canzone semplicistica che però colpisce soprattutto per l’efficacia e la “durezza” dei cori, la seconda è un hard rock abbastanza tipico, che a tratti ricorda i migliori Led Zeppelin, non penso che sia un bestemmia. La titletrack è un gradevole pezzo di pop-rock, basato sul tipico Queen sound tastieristico, più squarci della chitarra di Brian May; ottimo e originale il coretto che lo conclude. E’ divertente e orecchiabile, ma io lo trovo un brano sopravvalutato per quello che è il suo valore musicale (pur buono). Certamente la canzone più famosa (e il singolo più venduto) dell’album è la coinvolgente “I want it all”, da un’idea di May, risulta un vero inno alla Queen, con il solito Brian alla chitarra elettrica a fare da padrone, anche Freddie canta con grande energia; comunque tutto il gruppo suona con grande carica questo pezzo. Ottimo, ma un mio rimpianto è non averla sentita dal vivo con Freddie, ma solo una versione (pur buona) cantata col gruppo da Roger Daltrey (cantante degli Who) al tributo a Mercury stesso allo stadio di Wembley. E’ senz’altro uno dei migliori brani rock mai suonati dalla band. “The invisible man”, da un’altra idea del chitarrista del gruppo, è un brano tradizionalmente anni ’80, con l’utilizzo di sequenze synth preregistrate; il bello è che l’elettronica non è un fine, ma un mezzo per arrivare al centro della canzone in cui parte un bell’assolo incazzato di chitarra, del quale anche lo stesso Brian va molto fiero. E’ originale nella sua mancanza di originalità, elettronica utilizzata nella giusta maniera. “Brakthru” è un’ottima hit del gruppo, un brano rock-pop di buona originalità, sul solito genere di inni che fanno impazzire i fans (vedi “We are the champions”, “We will rock you”, “In the lap of the gods” e “Radio ga ga”), ottimi anche i cori, e come al solito non è una novità: stiamo parlando dei Queen, grandi architetti delle coralità di gruppo! Il ritmo della canzone è molto interessante ed ha un grande trasporto. La settima traccia è un pezzo piacevole che si intitola “Rain must fall”: su un ritmo latinoamericano si sviluppa un brano pop che a tratti è un pochino noioso, non sarebbe da sufficenza se non venisse letteralmente salvato da un assolo del solito Brian. Brano gradevole, ma senza grande originalità, poteva essere senza ombra di dubbio migliore, ma comunque può piacere. “Scandal” è per me la canzone più bella dell’album, un rock duro con degli ottimi spunti melodici, quasi drammatici, su un testo di denuncia dell’uso indiscriminato che la stampa fa delle notizie in suo possesso; non a caso Mercury è stato una vittima della maledetta stampa inglese per tutta la sua carriera. Gli arrangiamenti sono spesso stati giudicati eccessivi in questa canzone, si può anche essere d’accordo, ma per me in questa bellissima traccia non c’è niente fuori posto: è veramente ottima così, con la voce di Freddie che raggiunge toni altissimi che solo su “Innuendo” e su alcune canzoni di “Made in heaven” (“Mother love” e “A winter’s tale”) si sentiranno ancora. La penultima canzone dell’album è “My baby does me”, tipicamente soul, con un ottimo riff di basso di John Deacon e una chitarra molto calda. Per gli estimatori del genere può essere un ottimo pezzo, che io non discuto, ma che non amo eccessivamente, ad essere sincero. L’ultimo brano del disco è stato da molti definito come il vero testamento musicale di Freddie Mercury, infatti il testo di “Was it all worth it” si chiede se è valsa la pena di vivere insieme questa avventura nel mondo del rock, e Freddie si autorisponde di sì, che è stata un’esperienza da vivere fino in fondo, nonostante tutto. Per quel che riguarda la musica il brano è un ottimo rock con interventi orchestrali campionati che risultano essere ottimi commenti a ciò che viene espresso dalle liriche. Anche questo è un pezzo che io amo molto e che conclude il disco. Ci sono poi tre extra tracks: “Hang on in there”, un discreto brano rock con ottimi spunti melodici; “Chinese torture”, un pezzo strumentale in cui Brian si sbizzarisce; ed infine una versione 12″ di “The invisible man” che non mi piace proprio per nulla e che trovo assolutamente inutile. Concludendo posso senz’altro dire che secondo me l’album è veramente molto valido, con della grandi vette qualitative (“I want it all” e “Scandal” su tutte) ed una produzione sfavillante e solare che mostra un prodotto ottimamente confezionato. Consigliato a chi vuole passare un po’ di tempo con della musica piacevole e scacciapensieri. Ottimo (anche se non è il migliore dei Queen).
Tracklist:
- Party
- Khashoggi’s Ship
- Miracle
- I Want It All
- Invisible Man
- Breakthru
- Rain Must Fall
- Scandal
- My Baby Does Me
- Was It All Worth It
- Hang on in There
- Chinese Torture
- Invisible Man [12″ Version]
- Scandal [12″ Mix]