Recensione: The Missing Peace
“Attenti quei due” era il titolo di una serie televisiva inglese di inizio anni settanta e ben si adatta alla storia di Phil Lewis e Tracii Guns, ovvero le menti operative dietro la storica band sleaze losangelina degli L.A. Guns.
Dopo essersi lasciati all’altezza di Waking the Dead (2002), tra polemiche scaturite addirittura nella contemporanea esistenza di due band chiamate L.A. Guns, la saggezza dell’età e/o l’opportunismo economico hanno suggerito al cantante e al chitarrista di tornare a suonare insieme sotto il comune e ben oliato monicker che li fece rock star negli anni ottanta.
Dopo aver paradossalmente estromesso il batterista Steve Riley, che era della squadra da circa un trentennio, ecco che i riformatisi L.A. Guns arrivano nelle nostre orecchie con il risultato del loro riappacificamento musicale. The Missing Peace è un disco sorprendente: non mi sarei aspettato un tale livello di freschezza e qualità compositiva da un’operazione che sarebbe potuta facilmente scadere nella pura commercializzazione di un nome che viveva sui fasti dei propri primi tre dischi. Invece no: i pezzi escono freschi dalle casse dello stereo e riescono nel non semplice intento di suonare al contempo retro ma non datati, tradizionali ma anarchici, esperti ma ingenui.
La copertina vale da sola una lacrima dei più nostalgici. Torna il logo originale, che campeggiava sul primo, straordinario album della band (e su tanti chiodi consunti): oggi è scolorito dal tempo e mostra una frattura tra L.A. e Guns, quasi a ribadire che gli anni sono passati, qualcosa si è rotto, qualcosa è ingiallito, ma Phil e Tracii sono sempre loro. E che musica sanno produrre nel 2017!
It’s All the Same To Me apre The Missing Peace con bel riff sporco, groovy e cattivo, su una base ritmica semplice e ben valorizzata da una produzione senza fronzoli, capace di fare sentire la presenza della band all’ascoltatore. Un pezzo tipicamente L.A. Guns, valorizzato da un Phil Lewis personalissimo, che rafforza il grado di personalità della band.
Segue il singolo Speed, che già avevamo già ascoltato in occasione del Frontiers Rock Festival dello scorso Aprile. L.A. Guns al top della forma: veloce, diretta, spintissima da un riff splendido, Speed va fatta ascoltare ai giovani sleazer, come un manuale di riferimento della disciplina. Da applausi, letteralmente.
A Drop Of Bleach è trascinata da una ritmica sincopata davvero tipica degli L.A. Guns del periodo tra Cocked & Loaded e Hollywood Vampires.
Il livello resta alto con Sticky Fingers, che ben accompagna una strofa lineare con una bella apertura melodica centrale.
Christine è la ballad che non può mancare in qualsiasi disco di una band che ha fatto la propria fortuna (anche) grazie alla celeberrima The Ballad of Jayne. Ed è inevitable che a quest’ultima rimandi ogni nota lenta cantata da Phil Lewis. Christine non sfigura nel confronto; è già molto. Vicina alla meno nota Crystal Eyes (tratta da Hollywood Vampires), Christine si lascia ricordare per una buona melodia e quell’atmosfera un po’ spleen che è tipica delle ballad del gruppo. Promossa.
Segue Baby Gotta Fever, che non è niente di che ma risulta comunque piacevole grazie al solito bel riff stradaiolo di Tracii e a quell’attitudine decadente che è propria della voce di Phil. Più di maniera e sostanzialmente trascurabile è, invece, Kill It Or Die, che si trascina piuttosto stancamente intorno al un bel giro di chitarra e poco più.
Estremamente anni ottanta è Don’t Bring A Knife To A Gunfight, che sembra saltata fuori dal periodo d’oro del Sunset Strip, ma paradossalmente calza poco agli L.A. Guns, perché un po’ troppo leggera e laccata.
E quando il recensore pensa di aver compreso l’andamento generale del disco che ha tra le mani, ecco un quartetto conclusivo che gli mette in dubbio le poche certezze che credeva di avere messo da parte. The Flood’s the Fault of the Rain è una ballata in 6/8 tra I Found You e It’s Over Now (insomma, periodo Hollywood Vampires), fortemente debitrice agli anni sessanta americani. Gli L.A. Guns la reggono alla grande: ne risulta un pezzo bello, malinconico e ricco di sfumature.
The Devil Made Me Do It, invece, riporta l’ascoltatore nel 2017, regalando una prestazione dinamica e aggressiva da parte di una band che davvero non dimostra i più di trent’anni di carriera sulle spalle. E che titolo!
Segue The Missing Peace. Aperta da un dolce arpeggio su base di archi, accoglie la voce strascicata di Phil che la conduce verso un mid tempo eccellente, di grande atmosfera e feeling. La chitarra distorta di Tracii è un godimento per il rocker, che non può trattenersi dal gioire davanti a cotanto ritornello, che letteralmente esplode dalle casse. Notevole personalità di scrittura ed esecuzione.
A questo punto sarà finita la festa. E invece ecco Gave It Away, che non smette di stupire per qualità d’ispirazione. Quasi operistica, fonde alla perfezione una certa epicità elegante con le nefandezze dei bassifondi losangelini fatti di stripper dal trucco sfatto e locali dalle luci abbaglianti.
The Missing Peace è un eccellente ritorno per una band (e una coppia) che ha fatto la storia di quel genere che oggi chiamiamo sleaze e allora era detto street. Al netto delle battaglie legali, dei capelli tinti e degli anni dell’oblio, gli L.A. Guns sono vivi e attivi. Per noi, che siamo cresciuti con Sex Action e The Ballad Of Jayne, così come per i giovani che scoprono oggi l’eredità del Sunset Strip, è una gran bella notizia.