Recensione: The Mother of All Plagues
I Mercyless, francesi, rappresentano la classica formazione che, a dispetto di una carriera lunghissima, cominciata nel 1987, hanno profuso sempre e comunque un’infinita passione per il metal. Certo, nel corso del tempo ci sono state delle pause di riflessione ma comunque eccoli qui, nel 2020, guidati dal membro fondatore Max Otero (voce, chitarra), per dare alle stampe il loro settimo full-length, “The Mother of All Plagues”.
Il quale mostra, anche, che si può evolvere in maniera anche decisa da ciò che si suonava agli inizi. Se in essi era preponderante la matrice thrash, infatti, la progressione stilistica ha portato, oggi, a trattare di un moderno blackened death metal. Il che dimostra la grande apertura mentale di chi, dopo trentatré anni, ha saputo rinnovarsi al 100%. Tanto è vero che “The Mother of All Plagues” potrebbe essere benissimo accoppiato a una band nata nel terzo millennio e non nei seminali anni ottanta.
Ovviamente, e non poteva essere altrimenti, echi di qualche passaggio vintage ci sono ma, occorre dirlo, sono davvero percepibili solo e soltanto dagli orecchi più fini. E questo perché Otero si è circondato di musicisti sì di esperienza, ma anche dotati della tecnica necessaria per sviluppare un sound totalmente calato nel presente.
Detto ciò, non si può non godere del poderoso wall of sound costruito da un riffing incessante, sfinente, la cui variabilità è elemento di vicinanza al death metal classico. Le due chitarre, quella di Otero e quella di Gautier Merklen, si stremano dal cucire una selva inestricabile di accordi nonché ficcanti assoli dissonanti. Solida struttura alla quale accoppiare il rombo contino e costante del basso di Yann Tligui e la tentacolare batteria di Laurent Michalak, bravo a rompere gli schemi con un drumming mai uguale a se stesso e, inoltre, capace di sfondare con disinvoltura la tremenda barriera dei blast-beats (‘Laqueum Diaboli’). Lo stesso Otero, come visto, si occupa delle linee vocali, esprimendo un cantato dai toni stentorei, elaborato a pieni polmoni mediante delle semi-harsh vocals di tutto intelligibili, ideali per il (sotto)genere suonato.
Compatto all’inverosimile l’insieme delle canzoni, tutte allineate come soldatini alla foggia musicale della band transalpina. Del resto, in questo caso, buona parte della riuscita di questa compattezza stilistica è da demandare all’esperienza e, di conseguenza, allo spesso retroterra culturale che si può possedere solo e soltanto avendo alle spalle un buon numero di lustri nel settore.
Il songwriting è buono ma non eccelso, nel senso che il percorso da ‘Infection’ a ‘Litany of Supplication’ non regala moltissimo, in termini artistici – in ogni caso più che sufficienti. Tuttavia, occorre ancora una volta sottolineare il deciso comportamento disarmonico del songwriting medesimo. Il blackened death metal, difatti, in linea generale, non reca in sé nemmeno un grammo di melodia, e così iterano i Nostri. Però, anche se trattasi di un segno caratteristico congenito, la digestione di “The Mother of All Plagues” avviene con troppa difficoltà, almeno a parere di chi scrive. Segno che, forse, la fase di scrittura è stata così studiata a fondo sì da perdere un po’ di immediatezza, di freschezza, di naturalezza. Non male, invece, il mood del disco, perfettamente allineato alle tematiche trattate nei testi. Un sound quindi cupo, cattivo, in certi momento anche… doomoso (‘Litany of Supplication’).
In ogni caso, difetti a parte, ce ne fossero di gruppi così, alimentati da una febbrile e totale dedizione dalla causa. E così, appunto, sono i Mercyless e il loro “The Mother of All Plagues”.
Onore delle armi.
Daniele “dani66” D’Adamo