Recensione: The Mountain
I britannici Haken calcano le scene del prog rock e del progressive-metal dall’anno domini 2007, ma hanno dato vita alla loro prima opera discografica, Aquarius, tre anni dopo. Sia il primo full-length, che il successivo, intitolato Visions (2011), insieme a molteplici esibizioni nei più rinomati festival prog (ProgPower, Night of the Prog, HRH Prog…) hanno con grande rapidità ammantato gli Haken di un’aura di straordinario rispetto e credibilità, suscitando notevoli entusiasmi tra la gran parte degli esperti del genere musicale al quale sono dediti, e del quale vengono da alcuni considerati una delle più splendenti promesse.
Adesso “The Mountain”, in uscita per la label InsideOut, attesta che, più che una speranza per il futuro del prog, gli Haken rappresentano ormai una solida e consistente realtà.
L’album, infatti, conferma in pieno il rilevante livello di creatività e di qualità dei predecessori, ribadendo la dedizione della band ad un prog-metal certamente non scevro da richiami ai numi tutelari Dream Theater, ma stracolmo pure di riferimenti al prog primigenio. Gli Haken hanno successo così nell’architettare e realizzare un equilibrio perfetto tra strumenti e voce, intricate evoluzioni sonore e melodia, personalità ammantata da modernità alla Porcupine Tree e culto dei classici dei seventies.
The Path introduce l’album quietamente con atmosfere liriche ed evocative, disegnate da voce, piano e tastiere, ma subito dopo Atlas Stone, aperta da un pianoforte “genesisiano”, ci introduce in un vortice prog-metal con sfumature inquietanti ed aperture armoniche e più solari; il brano manifesta, inoltre, tracce di jazz e di fusion e richiami tutt’altro che velati ai signori Gentle Giant.
Anche Cockroach King, aperta da bordate di riff e giochi di voci, manifesta atmosfere care ai succitati Gentle Giant, ma pure ad Emerson, Lake & Palmer e Yes, e si concede ancora una volta riuscite divagazione jazz di pianoforte, basso e batteria, nonché arzigogolati assoli di chitarra.
L’acceleratore viene maggiormente premuto per In Memoriam, in cui grinta ed aggressività si fanno strada grazie a conficcanti riff prog-metal e ad un quattro-corde dal suono serpeggiante, che insieme tratteggiano un brano inquieto e risoluto.
Di tutt’altro tenore è Because It’s There, che propone un’intro a cappella per adagiarsi poi in atmosfere soffuse, dense di richiami ai Porcupine Tree e ricolme di purissima melodia.
Con Falling Back To Earth torniamo ad aggirarci nei meandri di un tempestoso prog-metal, grazie ai suoi cambi di atmosfere e di ritmo; qui alcuni passaggi, che svelano influenze dei Muse, conferiscono al brano un tocco ulteriore di contemporaneità, la quale si fa largo tra squarci melodici ed intricati passaggi strumentali, raffinati assalti sonori e rarefatte pause ed ancora svolte epiche e sinfoniche.
Il turbinio sonoro si placa, facendo immergere nuovamente l’ascoltatore in ambienti rarefatti, in As Death Embraces, canzone scheletrica disegnata da piano e voce come la traccia introduttiva. Pareidolia, invece, si offre attraverso il suono suadente del basso per aprirsi in un’ articolata suite dagli echi mediorientali, in cui si erigono imperiosi assalti metal e, soprattutto, svettanti cattedrali di epicità e melodia.
Le danze si chiudono con Somebody, che comincia con il suono delicato di chitarra acustica per poi sviluppare atmosfere tese e sospese e, ancora, melodie torreggianti di solennità, in un contesto privo di accelerazioni ritmiche.
In definitiva, con The Mountain gli Haken hanno realizzato – con amore, competenza e feeling- un piccolo, grande monumento al prog di tutti i tempi.
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