Recensione: The Naked Truth
Non capisco il motivo per cui molte case discografiche si ostinino a presentare i propri gruppi attribuendo loro etichette che non solo non trovano riscontro nella realtà, ma che rischiano seriamente di generare aspettative puntualmente disattese al momento del fatidico inserimento del Cd nel lettore. Questa constatazione che ha validità generale, risulta particolarmente azzeccata nel caso di questi danesi Ureas, che come vedremo in seguito non sono affatto dei dilettanti. Questa band viene infatti presentata come “melodic catchy power metal band” ma già al primo ascolto appare evidente come di metal in questo Cd vi sia ben poco. Ma procediamo per gradi.
Gli Ureas, come accennavamo poco fa, non sono dei debuttanti essendo il loro leader Per Johansson, leader degli hard rockers Fate, qui accompagnato da sua moglie Heidi e da un gruppo di interessanti musicisti (Kasper Gram/bass, Soren Hoff/guitars, M.S. Jorgensen/drums più diversi guests), coordinati in fase di arrangiamento e di produzione da un mostro sacro del metal come Tommy Hansen. Gli ultimi tempi non sono stati dei più tranquilli per il povero Johansson, caratterizzati da infamanti accuse di razzismo, da un tentativo di suicidio e da un incendio che ha completamente distrutto la sua abitazione. Probabilmente il disco risente di questa forte instabilità emotiva, considerato che presenta un’alchimia di suoni e di atmosfere spesse volte in forte contrasto tra di loro.
Appena inserito il dischetto nel nostro stereo ci rendiamo conto di trovarci di fronte ad un progetto musicale difficilmente inquadrabile. Azzardando un paragone forse blasfemo gli Ureas tentano di operare una trasposizione in ambito musicale di quel movimento letterario noto come “postmodernismo”, caratterizzato da citazionismo a go-go, rivisitazione in chiave moderna dei contributi artistici passati, accettazione della sfida della complessità per esplorare nuovi scenari musicali. In sostanza,la componente metal è ridotta al minimo essenziale, penalizzata per favorire sperimentazioni in territori troppo distanti dal metal tradizionale, per tutti i quasi 40 minuti di durata del lavoro siamo catapultati in dimensioni pervase da un soffocante senso di claustrofobia per poi essere rispediti in ambientazioni più ariose e fresche, grazie ad aperture melodiche di forte impatto. Il disco risulta talmente multiforme da apparire troppo disarticolato nella sua ossatura principale
Le influenze che possiamo riscontrare in questo lavoro, come accennato, sono diverse: si va dal nu-metal d’ispirazione korniana ad inserti gothic cari a gruppi quali Evanescence, con diverse spruzzatine qua e là di richiami hard rock e crossover. Il ruolo delle chitarre è però relegato in secondo piano, spesso i riff sono appena accennati e lasciati cadere senza che la band dimostri la minima volontà di sviluppare trame portanti più potenti; la sezione ritmica è anch’essa anonima, colpa di una struttura dei brani troppo variegata e fuori dagli schemi; le ambientazioni a base di tastiere sono diverse ma raramente appaiono coinvolgenti e d’impatto. Il disco in poche parole sembra vivere sul duo voce maschile aggressiva e onnipresente e voce femminile etera e suadente come da manuale gothic. Le linee vocali infatti sono a nostro avviso il punto forte di questo lavoro, generalmente ben strutturate e sviluppate (denotando buona creatività in fase di sonwriting), merito della enorme versatilità e al carisma di Per Johnsson. Un appunto tuttavia va fatto alla voce di Heidi, troppo simile per timbrica a quella di Tori Amos, pertanto inadeguata al genere proposto, soprattutto negli episodi più metal oriented e quando tenta di raggiungere tonalità più alte.
Tra le canzoni ci sentiamo di salvare la lenta e malinconica Colour us blind, che vive sul duetto tra Per ed Heidi sullo sfondo di chitarre acustiche e di inserti di violoncello, la successiva Survived, traccia particolarmente aggressiva nelle linee vocali del vocalist e teatrale dal punto di visto musicale (azzeccato è il tappeto di tastiere che fanno da sfondo ad una traccia assolutamente sopra la media del disco), ed infine My dearest one, che si sviluppa su ritmiche cadenzate e che presenta un chorus finalmente catchy. Le altre tracce sono assolutamente da evitare, composizioni sempre in bilico tra potenza metal soffocata e venature pop-rock con richiami alternative che lasciano interdetti e perplessi.
Al di là del voto che vedete riportato qui sotto e delle valutazioni espresse dal recensore, il consiglio è di chiedervi se una proposta talmente varia e fuori dagli schemi possa essere appetibile per un true defender: se amate le sperimentazioni e le contaminazioni e ve ne fregate delle classificazioni, date pure un veloce ascolto a questo lavoro, altrimenti volgete la vostra attenzione altrove.
Tracklist:
1. Intoxicated
2. Bang bang
3. In my life
4. Colour us blind
5. Survived
6. Lost my faith
7. My dearest one
8. I am who I am
9. Spiritually possessed
10. Seven days weekend