Recensione: The Necrodex
Sebbene calchino le scene dal lontano 1993, è solo nel 2012 che i costaricani Insepulto riescono a dare alle stampe il debut-album “Morbid Spawn Of Resurrection” cui, dopo altri tre anni di gestazione, segue questo “The Necrodex”. Più di vent’anni di militanza che, se da un lato non hanno dato luogo a una sufficiente produzione discografica, dall’altro hanno forgiato una band dalla consistenza paurosa, solida come e più del granito.
Peraltro, nel pieno rispetto dei uno stile che le band del Centro e Sud America sanno interpretare come poche altre al Mondo: il death metal. ‘Death metal’ e nulla più, nel senso che il sound degli Insepulto è scevro da qualsiasi propaggine atta a contaminare il genere nella sua accezione più classica. ‘Old school’, ‘melodic’, ‘blackened’, ‘cyber’, ‘*-core’ e compagnia cantate rappresentano derivazioni dall’ortodossia che non hanno significato alcuno, per l’ensemble di San Jose.
Il flavour emanato dalle undici tracce di “The Necrodex” può essere difatti incapsulato e tramandato ai posteri quale campione di purezza assoluta. Una purezza che è frutto dell’azione sinergica dei tre misteriosi (The Master Butcher, voce; A.P., chitarra, batteria; U.Xerxes.H, basso) membri del combo sudamericano. Ciascuno dotato, evidentemente, di grande esperienza in materia e di altrettanta abbondanza del background culturale. Ciascuno capace, senza il minimo tentennamento, di legare la propria azione a quella degli altri, facendo degli Insepulto una delle più efficaci macchine da guerra del Pianeta. Spaventoso, per esempio, lo sterminato muraglione di suono costruito, riff dopo riff, dalla formidabile chitarra di A.P.; impressionante nel realizzare pareti a struttura thrash dalla durezza impenetrabile. Ornate, nel contempo, da accordi la cui tipologia va ricercata negli spartiti dei leggendari axe-man che hanno fatto la Storia del genere, Chuck Schuldiner in primis.
Ma gli Insepulto non sono solo questo. La loro eccellente qualità li identifica, anche, come autori di song dal taglio magari non troppo innovativo, ma dense all’estremo di energia brutale, correttamente incanalata nei binari dell’intelligibilità grazie alle sapienti cure dell’infernale terzetto. Lo schema compositivo non è granché mutevole nell’iterazione di segmenti velocissimi (blast-beats) agganciati ad altri assai più lenti e viceversa (“Ars Magna In Evisceratus”), tuttavia la ridetta arte dei Nostri fa sì che non ci siano né cali di tensione, né buchi, né riempitivi, in “The Necrodex”. Che, va sottolineato, non è cibo per i palati più delicati: da “The Return Of The Impious” a “Odor Mortis” si dipanano cinquanta minuti di death metal durissimo, senza concessione alla pietà. Per cui occorre essere davvero… allenati, per sopravvivere all’onda d’urto che trasporta sulla sua cresta il platter.
Lavoro che, osservato a mo’ di sfera, non presenta alcun difetto evidente. Anche a voler essere pignoli, “The Necrodex” non manifesta, infatti, punti di appiglio per eventuali detrattori. C’è solo un aspetto, a parere di chi scrive, che andrebbe migliorato sì da raggiungere l’eccellenza totale in materia: lo spirito o meglio l’anima profonda delle canzoni. Cioè, quell’impalpabile ‘certo non so che’ in più che solo i più Grandi riescono a buttare dentro un album. Certo, si tratta di un talento che si ha o che non si ha. Che non s’impara a scuola, e che non cresce con la pratica. Ma che, in questo specifico caso, s’intravede in “The Morbid Spawn Of Resurrection”, brano dal refrain talmente lineare e naturale da non uscire più dalla scatola cranica.
Non tutti possono essere i Vader o i Cannibal Corpse, giusto per fare degli esempi, però ci si può andare vicino. Molto vicino, come riescono gli Insepulto con il loro “The Necrodex”.
Daniele “dani66” D’Adamo