Recensione: The Neon God: Part 2 – The Demise

Di Alessandro Zaccarini - 28 Settembre 2004 - 0:00
The Neon God: Part 2 – The Demise
Band: W.A.S.P.
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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77

Torna a distanza di pochi mesi una delle band più sfacciate e insolenti di tutto il panorama hard rock, e lo fa con la seconda parte di The Neon God, un concept cominciato con The Rise nei primi mesi del 2004 e che qui si conclude con questa seconda e ultima parte intitolata The Demise. Nel primo capitolo Jesse Slane, il ragazzo protagonista del racconto, era stato costretto a destreggiarsi tra psichiatri e famiglia causa il potere di controllare le menti altrui. Al di là della storia, comunque curata bene da Lawless, il disco aveva messo in luce un songwriting abbastanza ispirato e ben fatto. Un lavoro che si era presentato come un erede di quel magnifico The Crimsom Idol partorito dai W.A.S.P. nel 1992, pur non riuscendone a bissare intensità e maestosità.

Per questa seconda parte niente di rivoluzionario dal fronte della band americana, i contenuti di questo lavoro riprendono (ovviamente e giustamente) la strada già battuta dal suo predecessore, ripercorrendone le linee guida e riprendendone a volte anche alcuni temi. L’opera continua, la storia si evolve e giunge al termine (come lascerò che siate voi a scoprirlo) attraverso nove brani in tipico stile W.A.S.P. della seconda era, con l’inconfondibile voce di Blackie Lawless traino indiscusso che si muove sul tipico riffing ‘tamarro’ e una sezione ritmica incalzante come sempre. Il disco non è un esempio di eclettismo a livello di composizione, ma il platter si snoda comunque piacevolmente attraverso tanti episodi fatti del classicissimo dinamismo W.A.S.P. come l’opener Never Say Die o Destiny’s To Come, passando per tracce altrettanto energiche come Tear Down The Walls, Resurrector o la trascinante Come Back To Black, forse il pezzo più anacronistico dell’album, il quale non può che ricordare gli stilemi dello street/glam anni ’80. Il disco è qualitativamente omogeneo, e altrettanto interessanti sono episodi come The Demise e Clockwork Mary, due pezzi accomunati dalla caratteristica di nascere da arpeggi acustici per poi detonare nei riff distintivi della band. Unico lento di tutto l’album è All My Life, una breve ballata acustica in cui ancora una volta è la voce di Lawless a occupare il ruolo di protagonista. L’epilogo è tutto affidato alla suite finale, 13 minuti in cui The Last Redemption mostra le sue diverse facce, salendo gradualmente di intensità (a volte aiutata da alcune orchestrazioni) fino a un break acustico dal quale il pezzo riprende vigore poggiando sulle classiche cavalcate di batteria, esplodendo nel finale. Un fratello minore di quel capolavoro che porta il nome di Chainsaw Charlie.

I W.A.S.P. sono cambiati, e lo sono da anni. Dimenticate Helldorado, gli irriverenti pervertiti sessuali del debut e dintorni non ci sono più, ora c’è un Blackie Lawless riflessivo (ebbene sì) orientato verso tematiche più cupe e drammatiche, lontane dagli inni sfrontati e impertinenti di inizio carriera. Un bene? Un male? Si tratta di gusti personali, quello che è sicuro è che Blackie e soci non hanno perso la capacità di regalare ottima musica, volgendo verso una attitudine più melodica e meno aggressiva. Anche se assai distante dalle vette toccate con dischi come The Crimson Idol e Wasp, questo The Neon God: Part 2 – The Demise ha il merito di permanere su un livello piuttosto vicino a quello del buon primo episodio, divenendone degno successore. Questo disco non segnerà la storia dei W.A.S.P., ma se vi è piaciuto The Neon God: Part 1 – The Rise, procedete con l’acquisto a colpo più che sicuro.

Tracklist:
01. Never Say Die
02. Resurrector
03. The Demise
04. Clockwork Mary
05. Tear Down The Walls
06. Come Back To Black
07. All My Life
08. Destiny’s To Come
09. The Last Redemption

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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