Recensione: The New Black
Devin Townsend: genio, innovatore, istrione, mito, extraterrestre.
La descrizione di Mr. Townsend riportata su di un ipotetico dizionario heavy potrebbe essere grossomodo questa.
Pochi altri sono stati in grado, nel corso dell’ultimo decennio, di iniettare dosi tanto massicce di nuove idee e qualità all’interno della nostra musica, offrendo, grazie ad innumerevoli progetti, qualcosa di tanto interessante e personale mediante uno stile inconfondibile ed inimitabile al di la di ogni classificazione.
La musica di Devin Townsend è pulsante, viva, cangiante, multiforme, inafferrabile: è una entità dotata di intelligenza propria, aliena ed ultraterrena che non può essere ingabbiata in una rigida categoria univoca e mortificante. E’ definibile in un solo modo: la musica di Devin.
“The New Black” è l’ennesimo capitolo di un viaggio interplanetario dalla destinazione ignota, il quinto a bordo della navicella chiamata Strapping Young Lad.
Come tutti i grandi kolossal scritti e diretti magistralmente da capitan Townsend, anche questa volta l’immedesimazione e la acquisita familiarità con i singoli episodi dell’opera sono fattori fondamentali.
Al solito infatti, vista con occhio distratto e superficiale, l’imponente costruzione progettata emana riflessi impenetrabili, come una levigata superficie metallica di sostanza ignota rilucente di bagliori accecanti ed enigmatici. Il suo interno tuttavia, dopo averne scovata la chiave di volta necessaria per codificarne i motivi sotterranei, dissimulati al di la dell’ostico involucro, è un ribollire magmatico di note e sensazioni incatenate le une alle altre in una filosofia musicale di concetti grandiosi e magniloquenti, un fluire ritmico di pulsazioni che vanno a comporre un mosaico inesauribile di spunti e idee che, come in un caleidoscopio, poco alla volta assumono una forma distinta ed appaiono nella loro completezza.
La bellezza dei dischi degli Strapping Young Lad risiede in questo. Nel poter essere ascoltati e riascoltati all’infinito. Ogni volta l’esperienza sarà differente, e ad ogni esplorazione apparirà più familiare, intelligibile e rivelerà sfumature nuove e sempre più ricche di fascino.
Tralasciando per qualche istante i toni epico – fantastici (che pure ben si adattano ad una espressione sonora di tale singolarità), per venire ad una cronaca maggiormente ancorata ad una disamina attinente a questioni musicali, è necessario avanzare una prima valutazione di massima che possa essere in un certo qual modo “riassuntiva”.
Il nuovo CD dei SYL è un prodotto di egregia fattura, che si attesta ben al di sopra del 90% delle odierne produzioni del settore; la mano di Townsend non manca ed è ben riconoscibile, così come è ben presente la maestria indiscussa dei restanti componenti del gruppo, Hoglan in testa, al solito protagonisti di una prova prossima alla perfezione.
Ed il feeling giust’appunto “alieno” e “cibernetico” da sempre marchio di fabbrica della band?
C’è anche quello, tuttavia, e qui risiede il nocciolo della questione che forse dividerà i fans, questa volta risulta meno evidente, quasi relegato ad un piano un po’ più marginale rispetto a quei monoliti agghiaccianti e devastanti che erano stati il precedente “Alien” ed i leggendari “City” e “Heavy As A Really Heavy Thing”, albums che grazie alla fusione tra metal sanguinario ed autostrade di codici binari creavano un connubio sangue/macchina di assoluto fascino ed incredibile potenza immaginifica, al punto tale da divenire cardini portanti di una vera e propria rivoluzione in ambito estremo.
“The New Black” è un disco senza dubbio targato Strapping Young Lad, tuttavia se paragonato immediatamente alle pietre miliari appena menzionate, potrebbe presentarsi come una sorta di uscita sottotono o di mezzo passo falso.
Il problema come riferito, risiede forse in una dose di genialità lievemente inferiore rispetto al solito, a vantaggio di composizioni più lineari e meno cinematograficamente grandiose nel loro incedere comunque sempre terremotante e “nucleare”: in poche parole un cd meno “alieno” e più inserito nei canoni di un “normalissimo” heavy di eccellente e sopraffina confezione, con qualche virata nell’originalità grazie alle classiche ed improvvise aperture melodiche a cui Townsend ci ha abituati da tempo.
Errato in ogni caso chiamarlo disco deludente o mal riuscito.
Con un semplice lavoro cosiddetto “riempitivo”, gli Strapping Young Lad sono in grado di “asfaltare” letteralmente la gran parte della concorrenza, dispensando dosi di classe ed abilità comuni a pochissimi altri mortali (sebbene forse si stia parlando di extraterrestri) ed episodi come “You Suck” e “Far Beyond Metal” ne sono una dimostrazione lampante ed inequivocabile, brani oltre la mediocrità e convincenti senza riserve ed indugi.
E’ inevitabile tuttavia non annotare un aspetto specifico che appare in modo ben definito dopo una attenta analisi: questo potrebbe non essere un disco degli Strapping Young Lad, ma molto più probabilmente un prodotto della Devin Townsend band (o, meglio ancora, un ibrido tra i due), laddove la usuale ferocia cibernetica va a smussarsi per abbracciare tonalità più lineari in stile Ocean Machine (numerose strofe di “Anti Product” , “Monument”, “Wrong Side”, “Fucker”, “Almost Again” e “The New Black” sono estremamente chiarificatrici in questo senso ), dando la sensazione di avere per le mani l’ellepì “giusto” con il nome “sbagliato”.
Quello che inevitabilmente ne deriva è una strana sensazione di disorientamento, generata dall’aspettativa, disattesa, di un nuovo lavoro stilisticamente affine alle coordinate dei predecessori e non così “ammorbidito” e sfumato in termini di durezza e potenza.
Ad ogni buon conto, un prodotto di Mister Townsend è sempre qualcosa che merita di essere preso in considerazione e gustato con la dovuta calma.
Il consiglio è di ascoltare “The New Black” quanto più possibile, assimilandolo come un tutt’uno senza cercare di isolare episodi piuttosto di altri; una volta entrati in sintonia si rivelerà apprezzabile senza troppe riserve, risultando con tutta probabilità meno fantascientifico duro ed urticante dei suoi predecessori ma, pur nel suo essere “ordinario”, sempre degno di nota e meritevole di figurare nella discografia di una band di tale importanza e livello.
Buon disco o uscita poco ispirata? La prima ipotesi a mio parere, ma, come è giusto che sia, la sensibilità di ognuno esprima una valutazione assolutamente autonoma e libera.
Tracklist:
01. Decimator
02. You Suck
03. Anti Product
04. Monument
05. Wrong Side
06. Hope
07. Far Beyond Metal
08. Fucker
09. Almost Again
10. Polyphony
11. The New Black
Line Up:
Devin Townsend – Voce / Chitarra / Computer
Gene Hoglan – Batteria
Byron Stroud – Basso
Jed Simon – Chitarra
Willy Campagna – Tastiere