Recensione: The New Chapter
“Artifact of Annihilation”, 2013. Da allora, ancora rimaneggiamenti nella formazione capitanata dalla female-vocalist Luciana Catananti, deus ex machina di una band che, sin dagli inizi – 2006 – , ha sempre lasciato intendere di avere una marcia in più, nel panorama del death metal italiano.
“The New Chapter”, 2019. Dopo sei anni, il riscatto. Un nuovo capitolo, che si apre con una line-up stabile nonché composta da musicisti di tutto rispetto che, si spera, possano fattivamente contribuire all’ingresso dei Mechanical God Creation nel gotha del metal estremo internazionale.
“The New Chapter”: il massacro.
Sì, perché è impressionante il balzo in avanti compiuto dalla band meneghina rispetto alle produzioni precedenti. Inaspettato. Ferale. Assassino. Mortale. L’intro ambient ‘The New Chapter’ gela il sangue nelle vene e induce a un atteggiamento di sospensione. La calma prima della tempesta. E tempesta sia! ‘I Am the Godless Man’ parte a razzo con un mostruoso assalto all’arma bianca, pilotato dalle repentine ondate al calor bianco dei blast-beats di Carlo Molinara. Il riffing possiede una potenza devastante ma anche la capacità di saettare nel cielo plumbeo con assoli laceranti, brevissimi, chirurgici. Ma anche melodici, se serve (‘What Remains (pt. III)’). Il mostruoso muro di suono eretto dalle chitarre stesse – Deimos & Mirko Frontini – cementate dal basso di Jesus, fa semplicemente paura per spessore ed estensione bidimensionale. Stagliandosi – come suggerisce il disegno di copertina ma soprattutto il mood che si percepisce ovunque e che timbra con forza l’anima del full-length – innanzi a un’atmosfera cupa, tenebrosa, indicativa di un futuro distopico, senza speranza per gli esseri umani. Anche questo, elemento di forza per un disco dalla notevole personalità, il cui stile emerge costantemente grazie, anche, all’inserimento di segmenti ambient (‘Till the Sun Is No Longer Black’).
Spettacolare la prestazione vocale della Catananti, aggressiva come non mai, che interpreta le linee vocali con un growing bestiale e possente, tuttavia sempre intellegibile in ciò che esso pronuncia. Il livello qualitativo raggiunto dalla sua ugola pare essere ciò che si sia evoluto maggiormente, in questi ultimi anni, lasciando chiaramente intendere di non essere seconda a nessuna, quanto a bravura e a preparazione, a mostri sacri quali Alissa White-Gluz (Arch Enemy), Fernanda Lira (Nervosa) e Tatiana Shmailyuk (Jinjer), giusto per nominarne tre fra le migliori.
Lo sfacelo assoluto regna indisturbato in song terremotanti come ‘Walking Dead (pt. I)’. Le quali rendono encomiabile, fra l’altro, la capacità di mantenere intatta la riconoscibilità delle singole componenti di un sound assolutamente straordinario. Potenza potenza e ancora potenza, come se non ci fosse mai fine a un’energia dall’altissimo valore potenziale. Anche nei break rallentati (‘Overlord (pt. II)’) non cala la tensione, non diminuisce la devastazione, sintomo di un’erogazione continua di watt generati dalla band nel suo insieme senza interruzioni di sorta. Proprio quest’ultimo brano erige la sua struttura con una selva di riff violentissimi, ordinati, quadrati, in grado di seminare il panico in coloro che osano approcciare a un platter di queste dimensioni… energetiche. Incombono, sempre, visioni tetre, buie, raggelanti che, fra le altre cose, aiutano a definire uno stile sostanzialmente unico nel suo genere. Il livello di abilità esecutiva intrinseco all’opera farebbe propendere per il technical death metal tuttavia la veemenza, l’impetuosità derivano dal genere medesimo per cui non si può decretare che lo stile dei Mechanical God Creation si chiami… Mechanical God Creation.
‘Black Faith’ ed essi, sempre con tono fosco, nuvoloso, entrano nel Reame dell’Hyper Speed. Ove, cioè, la trance della super-velocità sublima i neuroni cerebrali in uno stato di incoscienza, di allucinazione. I BPM divergono verso numeri da follia, le chitarre spigionano fiotti di scintille (‘Dark Echoes’), il basso tuona come una tempesta infinita; il tutto capitanato, sempre e comunque, dall’impeccabile growling di Luciana, a volte pressante la scatola toracica di chi ascolta come non mai (‘Bow to Death’).
“The New Chapter” lascia davvero di stucco per una clamorosa qualità tecnico-artistica a tutto tondo, a 360°. I brani possiedono, tutti, una propria identità tali da renderli riconoscibili e memorizzabili, seguendo tuttavia il filo conduttore dello stile dei Mechanical God Creation. I quali, attualmente, rappresentano quanto di meglio si possa esprimere, in Italia ma non solo, in materia dei metallo iper-oltranzista: nessuna pietà, nessun prigioniero, nessuna concessione. A niente e a nessuno.
Per chiudere la quadra, il gotha di cui si accennava all’inizio sì, sì può affermare che sia stato raggiunto!
Daniele “dani66” D’Adamo