Recensione: The Northern Sanctuary
Ve li ricordate I Witherscape? O meglio, vi ricordate il folgorante debutto dei Witherscape uscito nel 2013? The Inheritance fu, ed è ancora, un gran bel disco di melodic death; presentava alcuni difetti, ma talmente tante ottime frecce al proprio arco da rendere il nuovo album del progetto uno dei più attesi di questo 2016. Dietro il moniker si nasconde ovviamente Dan Swanö assieme al compare Ragnar Widerberg; squadra che vince non si cambia, e non cambia praticamente nulla a livello stilistico rispetto a l lavoro precedente. The Northern Sanctuary continua il concept horrorifico basato su un racconto di Paul Kuhr, e continua a offrirci grandissima musica come da tradizione.
Già dalle prime note di Wake Of Infinity si inizia a intravedere come il sound dei Witherscape sia diventato meno ingenuo in favore di un essere più complesso e maturo ma, in totale contrapposizione, di facilissimo ascolto. Il genere suonato? Non è semplice da catalogare, parlare di melodic death è molto riduttivo e generico; vi sono elementi di heavy metal classico, aor, death, prog e chi più ne ha più ne metta. L’unica differenza tra Dan Swanö e il resto del mondo, è che Dan Swanö tutto il minestrone lo fa funzionare in maniera pressoché perfetta. Tastiera invadente alla Lucassen, vocione in growl alternato a un clean che manda a casa (e a scuola) la maggior parte di tentativi presenti in circolazione, un songwriting che riesce anche ad essere imprevedibile con un ponte totalmente inaspettato ed ecco servito un grandissimo brano. In The Eyes Of Idols rimanda alla più compianta delle versioni degli In Flames con un brano di puro Swedish formato da una strofa esaltante e un ritornello che funziona in maniera grandiosa; in questo brano si scorgono perfettamente le due anime del poliedrico artista svedese, che vanno dagli Edge Of Sanity a Moontower fino ai più ariosi Nightingale.
Rapture Ballet si concede in apertura sprazzi di prog che non sfigurerebbero in un brano dei Dream Theater; si procede poi con una strofa di heavy classico e con un ritornello che entrerà nella vostra testa per non uscirne mai più. Gli intermezzi strumentali e gli arrangiamenti rendono il brano uno dei migliori del lotto, con l’unico mortale peccato di avere il finale troncato sul più bello: un crescendo avrebbe dato decisamente un altro effetto. The Examiner è una ballad ma non una semplice ballad; è una delle migliori scritte da Dan Swanö! La prestazione in clean qui è maiuscola e il growl fa da vero e proprio valore aggiunto sostenendo tutto l’impianto, che è suonato in maniera impeccabile e con grande gusto. Sono sicuramente gli arrangiamenti il punto focale dell’album, superlativi nella loro semplicità e immediatezza e in grado di ottenere il massimo da pezzi strutturalmente molto “blandi” e classici; la produzione è un perfetto complice e, nel caso non vi piacesse, l’edizione deluxe offre un secondo disco con un mix totalmente diverso e anche le tracce strumentali!
Marionette è un’altra semi-ballad con un ritornello in growl che riesce a toccare anche a livello emotivo, complice una tastiera piazzata ad hoc su una sequenza armonica strappalacrime ma mai stucchevole; davvero un risultato maiuscolo, con un assolo di chitarra grandioso come ciliegina sulla torta. Divinity è il brano più corto del disco, ma, nei suoi tre minuti scarsi, offre comunque buonissimi momenti, in particolar modo col tema portante che è 100% aor. La parte centrale alterna momenti progressivi a coretti che chiamano in causa anche Sua Maestà Devin Townsend e ciò che esce dalle casse è assolutamente da non sottovalutare.
In The Inheritance vi erano un paio di brani non proprio riusciti sul finale, o meglio, momenti non all’altezza di una Dead For A Day a caso; in The Northern Sanctuary invece non vi è nulla da segnalare in quando la qualità delle composizioni rimane coinvolgente e altissima per tutti i quarantasei minuti della tracklist. God Of Ruin ne è la conferma col suo incedere pacifico e dalle melodie esotiche; il ponte rimanda ancora una volta a viaggi spaziali made in Ayreon e non vi è nulla da eccepire, specialmente quando ben presto arriva il growl ad alzare il livello di tensione. Il ritornello è forse il meno coinvolgente dell’album, ma non è il caso di puntare il dito. Contrariamente alla struttura e alla tracklist della maggior parte delle uscite di genere, The Northern Sanctuary offre il suo piatto forte nel finale, con una titletrack che, nei suoi quasi quattordici minuti di durata, si rivela una mini suite che è un po’ un sunto di tutto ciò che finora è stato proposto. Vi sono sprazzi puliti, rabbiosi, ariosi, toccanti, brutali e anche parti da sano headbanging. Chiude tutto l’ormai tradizionale minuto strumentale che, a questo punto, è un altro marchio di fabbrica da aggiungere ai tanti offerti.
Chiedere a Dan Swanö di sbagliare un disco è un po’ come chiedere ai Necrophagist di dare un seguito ad Epitaph, fortunatamente ci abbiamo perso le speranze. Stupisce però il fatto che a dettare ancora una volta legge sia una persona che nulla ha da chiedere né da dimostrare a una scena che si è sicuramente presa di più di quello che ha dato indietro. La musica di Dan Swanö ha un riscontro minore rispetto all’effettiva qualità prodotta negli anni e tutto ciò risulta francamente inspiegabile, tanto quanto la sua effettiva influenza nelle sonorità, che è invece altissima. Essere ovunque ma esistere per pochi, deve essere una sensazione parecchio strana. Noi comunque prendiamo e diciamo grazie, ma ormai a quest’uomo lo diciamo dal 1991 e forse di sentirlo si è rotto le scatole anche lui.
Ps: Anche voi che aspettate da anni che Akerfeldt rinsavisca e ritorni da Woodstock dovreste procurarvi questo disco, potreste non averne più bisogno.